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Giallo su Haftar, rischio caos in Libia

«Morto per infarto a Parigi». L'Onu smentisce: «Abbiamo parlato con lui»

Giallo su Haftar, rischio caos in Libia

È giallo sulla sorte di Khalifa Haftar, 75 anni, la divisa e la guerra come ragione di vita. «Sono un combattente e mi batterò fino alla fine per il mio Paese» aveva detto qualche anno fa in un'intervista a Il Giornale e ieri nel pomeriggio è arrivata la notizia che fosse spirato nel letto d'un ospedale di Parigi, abbattuto da un infarto. Nel corso della serata l'emittente Al Arabiya ha però smentito il decesso; e più tardi un tweet dell'Unsmil, la missione Onu in Libia, ha aumentato il mistero: «L'inviato Onu in Libia, Ghassan Salamé e il feldmaresciallo Khalifa Haftar hanno parlato oggi per telefono ed hanno discusso della situazione generale e gli ultimi sviluppi politici». Insomma, nel Paese a caos si aggiunge caos.

Haftar è una figura decisiva nella Libia post Gheddafi: aveva combattuto per lui in Ciad, e poi contro di lui quando - prigioniero nelle mani dai ciadiani - venne rinnegato dal Colonnello che addossò a quel Capo di stato maggiore in catene le colpe della disfatta. Liberato grazie alla Cia non esitò a mettersi al servizio di Langley nel tentativo, sempre fallito, di disarcionare quel rais con cui era stato protagonista della Rivoluzione Verde. Nel 2011 tornò in patria e si presentò a Bengasi per guidare la cosiddetta «rivoluzione», ma venne messo subito in disparte per ordine dei capi islamisti. Da quel momento ha dedicato tutte le sue forze e per il suo impegno combattere i Fratelli Musulmani, l'Isis e le altre milizie jihadiste padrone di Bengasi e della Cirenaica.

Il generale Khalifa Haftar insomma, discusso Capo di stato maggiore dell'esercito di Tobruk, era convinto in cuor suo di esser l'unico vero successore del Colonnello. La Francia di Emmanuel Macron sfruttando la sua immensa ambizione, non aveva esitato a usarlo contro l'Italia nel tentativo di sminuire il nostro ruolo nell'ex-colonia e mettere le mani su petrolio ed affari. Successe la scorsa estate. Fino ad allora la comunità internazionale e Parigi avevano rispettato gli accordi raggiunti con l'Italia che riconoscevano l'esclusiva legittimità del governo di Tripoli, ma facendo leva sulle ambizioni presidenziali di Haftar Macron convocò i due contendenti a Parigi per convincerli a firmare un patto garantito dalla Francia per tagliare fuori il nostro Paese. E del resto Haftar non ci ha mai amato. Disconosciuto dal nostro governo ha più volte minacciato di bombardare le nostre navi nel caso di un intervento della nostra Marina per bloccare i barconi dei migranti. E lo scorso settembre d'intesa con la Francia non ha esitato ad attaccare le milizie di Sabratha pagate dai nostri servizi di sicurezza per bloccare le partenze dei migranti. Ma Haftar, oltre ad essere l'uomo di Macron, è anche la pedina su cui puntavano la Russia di Vladimir Putin, gli Emirati Arabi e l'Egitto del presidente Sisi. Tutti e tre quei padrini avevano contribuito ad armarlo e finanziarlo perché vedevano in lui l'antidoto migliore al contagio islamista. Haftar non li aveva delusi strappando alle milizie islamiste Bengasi e molte altre località della Cirenaica. Con la sua scompare si riaprirebbero le incognite per tutte le zone orientali minacciate dall'Isis e dalle fazioni armate legate ad Al Qaida. Con un vuoto di potere che metterebbe a rischio la tanto rivendicata indipendenza della Cirenaica.

Di certo invece tirerebbe un sospiro di sollievo il debole governo di Tripoli e addirittura potrebbero riaprirsi i giochi per Saif Gheddafi, il figlio ormai libero e riabilitato che papà Muhammar aveva già designato come suo legittimo erede.

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