Politica

Il Giappone rompe il tabù: il premier va a Pearl Harbor

Il 26 dicembre Abe visiterà con Obama la base alle Hawaii Nel 1941 Tokyo attaccò la flotta americana del Pacifico

Roberto Fabbri

«Deve essere una riconciliazione tra Giappone e Usa, la nostra alleanza è molto importante e una speranza per il mondo attuale». Con un tempismo quasi perfetto con il settantacinquesimo anniversario dell'attacco giapponese a Pearl Harbor (7 dicembre 1941) che innescò l'ingresso degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale, il premier Shinzo Abe annuncia una visita storica alla base americana nell'arcipelago delle Hawaii. Vi si recherà il 26 e 27 dicembre in compagnia di Barack Obama, che delle Hawaii è nativo e che vi trascorrerà le sue ultime vacanze di Natale da presidente.

É la prima visita in assoluto di un capo di governo giapponese a Pearl Harbor, e rappresenta una risposta positiva a quella che nel maggio scorso Obama aveva reso - e anche quella fu una «prima» assoluta - alla città di Hiroshima, rasa al suolo il 6 agosto 1945 da una bomba atomica americana che provocò la morte di circa 140mila persone. In confronto la strage causata dalle bombe giapponesi a Pearl Harbor (3500 uccisi) può sembrare poca cosa, ma non è certo il calcolo dei poveri morti a contare: vale il gesto volto a suturare una volta per tutte le ferite che a tre quarti di secolo di distanza dai fatti ancora separavano due Paesi che hanno stretto un'alleanza ferrea, resa oggi ancor più strategica dalle nere nubi che si addensano sull'Estremo Oriente con il peggiorare delle relazioni tra gli Stati Uniti e la Cina, che non sembrano destinate a miglioramenti con l'imminente arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca.

Mala tempora currunt, e Tokyo si tiene stretto il suo potente alleato. I motivi di preoccupazione, al di là del noto contrasto territoriale con Pechino sulla sovranità delle isole Senkaku/Diaoyu, non mancano. Il Giappone non deve preoccuparsi solo di una Cina - nemico storico che Tokyo pure aggredì con particolare ferocia nel 1937 - la cui potenza economica e militare non fa che crescere, ma anche della Corea del Nord, scomodissimo vicino guidato da un dittatore megalomane e imprevedibile, abituato ormai a brandire il suo piccolo ma temibile arsenale atomico come arma di ricatto a livello regionale e non solo. Così Abe coglierà a Pearl Harbor «un'opportunità per mostrare rispetto alle vittime e mandare un messaggio di riconciliazione tra Stati Uniti e Giappone», ricordando che negli ultimi quattro anni ha sviluppato con Obama una «relazione volta a promuovere la pace e la prosperità nella regione dell'Asia-Pacifico». Il premier, va ricordato, era stato preceduto nell'agosto scorso - pochi mesi dopo la visita di Obama a Hiroshima - dalla moglie Akie, che si era recata a deporre fiori al memoriale di Pearl Harbor.

L'attacco delle forze aeronavali giapponesi del 7 dicembre 1941 rappresentò uno choc profondo per la nazione americana. Condotto a tradimento in assenza di una dichiarazione di guerra, colse di sorpresa le difese della base in cui si trovava la flotta Usa del Pacifico, alla quale provocò danni così ingenti da assicurare per un lungo periodo al Giappone il controllo del Pacifico. Il presidente americano Franklin Delano Roosevelt parlò di «giorno dell'infamia» e sull'onda dell'enorme indignazione nell'opinione pubblica dichiarò l'entrata in guerra degli Stati Uniti.

Meno di quattro anni dopo l'impero giapponese era in ginocchio.

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