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Giorgia affronta Bruxelles. Incidente con Draghi

La premier alla Camera: "Sul patto di stabilità partita aperta". La puntura: "La politica estera non è fare foto". Poi precisa

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La trattativa a Bruxelles sul patto di stabilità è «difficilissima», ma «ancora aperta». E l'Italia può giocare le sue carte perché si è dimostrata «un paese virtuoso, che si presenta con i conti in regola», nonostante «il macigno» di debiti lasciato in eredità dal famigerato Superbonus di Conte, «il più grande regalo mai fatto dallo Stato italiano ai truffatori».

Giorgia Meloni, tailleur grigio e pochi sorrisi, parla in aula alla Camera dei deputati, alla vigilia del Consiglio europeo. Lancia strali contro i suoi predecessori: non solo Conte, ma persino Draghi: «Per alcuni la politica estera è stata farsi foto in treno con Francia e Germania, senza portare a casa niente». Gaffe subito corretta: «Non attaccavo certo Draghi e il suo grande impulso alla Ue, ma il Pd» che citava quella foto come unico «riassunto» del suo ruolo.

La premier affronta subito il nodo del Patto, ufficialmente fuori dall'ordine del giorno, ma che lei punta a riportare sul tavolo. «Siamo ancora in partita - spiega - la nostra posizione negoziale parte da una base di credibilità e serietà riconosciuta». Tema centrale del Consiglio sarà il processo di adesione dell'Ucraina all'Ue e l'impegno a continuare ad appoggiare Kiev. E Meloni è assai netta nell'affrontarlo, guadagnandosi qualche applauso anche dai banchi dell'opposizione (ricambiati dal parere favorevole del governo a diversi punti delle risoluzioni Pd, Iv, Azione) quando assicura «appoggio a 360 gradi» al Paese invaso. «Continuare a opporci all'aggressione russa è necessario, perché rappresenta una difesa della nostra democrazia. Resteremo al fianco dell'Ucraina, sarà una delle priorità della nostra presidenza G7». La «propaganda russa» dice che Kiev ha perso, ma «penso che l'Ucraina abbia già vinto, rendendo impossibile la conquista del suo territorio grazie al suo incredibile coraggio e anche al nostro appoggio». Più di un'eco di quella «propaganda russa» sulla resa inevitabile della Resistenza ucraina, denunciata da Meloni, si ascolta negli interventi grillini. Per il contiano Ricciardi è l'Occidente che sta facendo «una guerra per procura sulla pelle degli ucraini», che non arrendendosi a Putin «hanno perso la pace». La replica di Meloni è una staffilata: «Per voi l'Ucraina deve arrendersi così avrà la pace, in cambio della libertà ma chi se ne frega. É codardia applicata alla geopolitica». La stessa codardia, fa capire, per cui fu Conte a approvare la riforma del Mes «senza mandato parlamentare e dopo essersi dimesso, dando mandato a un ambasciatore col favore delle tenebre». Dal Pd Lia Quartapelle plaude all'appoggio a Kieve: «Lei si guadagnò la considerazione degli avversari quando dall'opposizione appoggiò la linea Draghi sull'Ucraina. Ma è il suo alleato Orban ora a mettere il veto: saprà tenerlo a bada?». Meloni replica: «Farò quello che posso, fare politica estera è saper dialogare con tutti e io lo so fare». Poi le scappa la battuta acida contro il suo autorevole predecessore, che «si faceva le foto con Scholz e Macron». Per l'ex ministro dem Guerini è «una scivolata di pessimo gusto». Che finisce per rialzare barricate tra governo e minoranze, anche quelle favorevoli a dialogare sui punti condivisi, con Elly Schlein che grida in aula «Viva l'Italia antifascista».

Manco fosse alla prima della Scala.

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