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Salvate anche Bossi dal carcere per le idee

Il Senatùr rischia 18 mesi per offese a Napolitano. La Cassazione su Ruby: da rifare il processo Fede-Minetti

Salvate anche Bossi dal carcere per le idee

Non condannate Erri De Luca e a questo punto neppure Umberto Bossi. I casi sono diversi, ma la ratio è la stessa: il buon senso.

Il Senatùr si è messo nei guai con un comizio. È il 29 dicembre del 2011. Ad Albino, in val Seriana, bergamasca, c'è la Bèrghem Frècc, la festa d'inverno del Carroccio. Bossi è sul palco, con un maglione verde, accanto c'è Maroni che sorride e altri intorno a lui, e fa freddo. Parla lento e dice: «Mandiamo un saluto al presidente della Repubblica». Pausa. Fischi. Riprende. Il tono è basso. «Napolitano, Napolitano. D'altra parte nomen omen ». Tra il pubblico voci che si inseguono: « Terùn, terùn ». Bossi fatica a capire, poi qualcuno alle spalle ripete: « Terùn ». Bossi, che finalmente comprende, esclama: «Ah, non sapevo che fosse terùn ». Passano quattro anni e arriva la condanna: 18 mesi.

Ci sono reati che sembrano lontani, quasi fuori tempo. Il vilipendio nei confronti del presidente della Repubblica poi ha confini instabili. Sa di lesa maestà, protegge una figura che forse non ha poi più così tanto di «sacro». Napolitano al Quirinale ha fatto politica, da protagonista. È stato più tessitore che arbitro. Napolitano presidente «presidenzialista» in una repubblica parlamentare. Ma tutto questo non è importante. Bossi viene condannato perché bofonchia quattro parole contro l'istituzione, contro lo Stato. È punito per dissacrazione. Ora può anche non piacervi quello che ha detto, ma non c'è da parte della corte un eccesso di permalosità? Non c'è una tendenza a castrare le parole e i pensieri sconvenienti? Il buon senso sembra dire di sì. Il prossimo sarà Giorgio Sorial, deputato 5 Stelle, indagato anche lui per vilipendio. «Il boia Napolitano mette la tagliola sulle opposizioni».

Erri De Luca risponde ad alcune domande di una giornalista dell' Huffington Post . È il 1 settembre 2013. C'è una frase che finisce sotto accusa: «La Tav va sabotata». Il risultato è che la procura di Torino chiede una pena di otto mesi. È istigazione a delinquere. Per Erri De Luca è invece semplicemente censura. È un'opinione, un pensiero, un modo di vedere le cose. La tesi del pm è che quello che parla non sia uno qualsiasi. Le parole di De Luca hanno un peso diverso. È uno scrittore. Ha un passato rivoluzionario. Il movimento No Tav lo segue. La vera condanna per De Luca è la tesi accusatoria del pm. De Luca deve stare zitto, se parla è già colpevole, se dice quello che davvero pensa è reato. La condanna per lui è stare zitto o censurarsi. Ora questi sono due o tre casi tra tanti. C'è però la sensazione che si debba stare attenti alle parole. Molto più di un tempo. E non solo. Le parole non sono tutte uguali, dipende da chi le dice.

Quanti altri verrebbero condannati al posto di Bossi o di De Luca? Pensateci, ma sottovoce.

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