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Il governo ci riprova: golf e stadio della Roma rispuntano in manovra

Colle e Ragioneria potrebbero stoppare tutto E i bersaniani minacciano: non la votiamo

Il governo ci riprova: golf e stadio della Roma rispuntano in manovra

Roma - Lo stadio della Roma sembra stare più a cuore a Palazzo Chigi che al Campidoglio. Se la sindaca Virginia Raggi appare come minimo tiepida, il governo nazionale sta spingendo sull'opera giallorossa, un po' come ha fatto con la Ryder cup, evento clou del golf mondiale che si terrà nella Città eterna. Nella manovra è spuntata una misura pro stadio. Molto tecnica e ufficialmente destinata a tutte le infrastrutture sportive, consente che possano essere destinate a una destinazione d'uso non solo legata allo sport. Quindi commerciale e abitativa. L'impressione è che il governo abbia voluto garantire il delicato equilibrio trovato con il comune sullo stadio di Tor i Valle, assicurando chi investe che ci saranno anche negozi e appartamenti. Segno che il governo centrale vuole spingere per realizzare l'opera sulla quale c'è l'intesa, ma è legata agli umori della giunta capitolina. Era già successo con la Ryder cup, per la quale la scorsa legge di Bilancio aveva previsto una garanzia sui finanziamenti. Norma bocciata, che ora dovrebbe rispuntare proprio nella manovra, insieme ad un altra misura ad hoc per i mondiali di Sci di Cortina del 2021.

Norme un po' a rischio. La manovra è ancora la vaglio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e della Ragioneria generale dello Stato. Difficile dimostrare l'attinenza con la correzione da 3,4 miliardi di euro e con le altre misure «per la crescita» annunciate dal governo.

Senza contare che sulla manovra spuntano i primi problemi politici. Non da Matteo Renzi, sempre più ai ferri corti con il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, ma dalla sinistra doc. Ieri Roberto Speranza di Mdp ha minacciato di non votarla. «Noi siamo stati responsabili verso il governo, contrari al partito dell'avventura. Per intenderci, Gentiloni stai sereno lo dice Renzi, non Speranza. È il Pd ad aver alimentato l'idea di una corsa al voto, senza guardare all'interesse del Paese». Però, ha precisato, «non siamo disponibili a dire sì a tutti i costi. Chiediamo una svolta in politica economica. Finora sono state fatte scelte sbagliate. C'è troppa continuità con gli anni di Renzi».

Se il partito di Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema dovesse veramente dire no, il governo potrebbe avere difficoltà al Senato.

Più facile che sia un gioco delle parti tra esecutivo e gli scissionisti del Pd per dare un po' di visibilità al Movimento democratico e progressista. La svolta richiesta dalla ex minoranza democratica potrebbe arrivare con le norme, ampiamente annunciate, per la produttività. A quanto pare, infatti, il taglio del cuneo fiscale varato dal governo di Paolo Gentiloni, potrebbe arrivare in una versione molto sindacale. Concentrata quindi solo sui lavoratori secondo la logica del fare aumentare il reddito a disposizione degli italiani, più che rendere più competitiva l'economia.

Sullo sfondo, la vera sfida che è quella dei conti 2018. Il governo rinvia di fatto la correzione e mette a bilancio l'aumento dell'Iva che a parole dice di volere evitare. Una contraddizione della quale si stanno accorgendo anche i media di sinistra. Paradossalmente una polizza di assicurazione sulla durata della legislatura.

Chiunque sarà al governo a fine anno dovrà mettere mano ai conti pubblici per quasi 30 miliardi di euro.

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