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Il governo giallorosso cancella la tassa sulle rimesse dei migranti

Niente imposta sui soldi trasferiti all'estero, la nuova maggioranza giallorossa nella manovra 2020 ha fatto fuori la norma voluta lo scorso anno dalla Lega

Il governo giallorosso cancella la tassa sulle rimesse dei migranti

La lotta all’evasione, si sa, è uno degli argomenti più scottanti sotto il profilo politico. Da anni, ad ogni finanziaria, si promette un maggiore giro di vite contro chi evade ed elude, contro chi fa scomparire soldi e somme che non arrivano alle casse dello Stato.

Persino il presidente Sergio Mattarella nella giornata di ieri, in un incontro al Quirinale con gli studenti, ha parlato dell’importanza della lotta all’evasione. C’è però un campo in cui i controlli sono più difficile e parlare di trasparenza è mera chimera: è quello che riguarda i money transfer.

Non sono delle vere e proprie banche, ma gestiscono un flusso di denaro non indifferente che riguarda soprattutto le rimesse degli immigrati verso i paesi di origine. Si calcola che il movimento di denaro attorno ai money transfer supera i sei miliardi di Euro. Soldi la cui tracciabilità è difficile da rilevare, dove quindi vi è il costante spauracchio di una poca trasparenza e di un altrettanto insufficiente efficacia dei controlli.

Per questo motivo lo scorso anno il governo Conte I, quello cioè a trazione giallorossa, aveva approvato un’imposta dell’1.5% sulle rimesse dei migranti all’estero. Poca cosa sotto un profilo numerico, visto che il gettito generato a favore dell’erario è stato di 100 milioni di Euro, ma importante dal punto di vista simbolico.

Infatti, come sottolineato da un articolo di Giuliano Zulin su Libero, in tal modo si andava a pescare nel “torbido” dei money transfer, rimettendo in circolazione almeno un po’ di quei soldi poco tracciabili e non sempre controllabili. Per la Lega, che ha promosso quell’iniziativa, è stato un atto rivendicato politicamente.

Anche perché “pescando” dai money transfer si vanno a toccare tasti dolenti per molti commercianti, a partire da quelli relativi ai sospetti di una concorrenza sleale. Un esempio può essere dato dalla quantità di denaro trasferito dalla comunità bengalese in Italia verso il proprio paese d’origine. Nel 2018, si è calcolato in totale qualcosa come 700milioni di Euro rimessi in Banghadesh dall’Italia, una media di 450 Euro al mese per ogni cittadino del paese asiatico presente nel nostro territorio.

Una somma, quella sopra citata, che ufficialmente un bengalese in Italia potrebbe permettersi. E che dunque potrebbe essere figlia di attività in nero o di commerci che sfuggono ai controlli e che, di fatto, creano una concorrenza sleale verso chi, tra italiani e stranieri, è messo in regola e paga le tasse. Una denuncia questa che è arrivata da molte associazioni di categoria, in buona parte del nostro paese. Che ovviamente non riguarda solo la comunità bengalese, ma anche tutti coloro che originano un non indiffierente flusso di denaro poi inviato nelle terre natie.

Si ha quindi una vera e propria beffa: chi vuole mettersi in regola è sempre più controllato, mentre chi non è messo in regola riesce a racimolare soldi da poter inviare anche in patria. Ecco un po’ il senso dell’iniziativa dello scorso anno attuata dal governo gialloverde.

Ma negli ultimi mesi, su questo fronte, si è dovuta aggiungere un’altra beffa: proprio l’antitrust si è pronunciato contro l’imposta sui migranti, definita discriminatoria. Ed a quella pronuncia, oggi si è aggiunta anche la scelta politica del nuovo governo: stop definitivo all’imposta.

Così come sottolineato ancora da Libero, nello schema dell’ultima manovra la tassa è andata in soffitta, è sparita dalla mappa dei nuovi interventi. Cancellata dalla nuova maggioranza giallorossa, un dietrofront politico ben evidente rispetto al principio portato avanti lo scorso anno.

In poche parole, la discriminazione c’è ma è contro chi si mette in regola, sia che sia italiano oppure straniero regolarmente residente nel nostro paese: per chi segue la via della legalità ci saranno sempre più regole stringenti in nome della lotta all’evasione, per chi invece muove flussi di denaro non tracciabili permane l’attuale poco trasparente status quo.

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