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I frontalieri: senza di noi la Svizzera chiude bottega

Maroni chiede a Renzi una zona economica speciale per i lombardi. Che dicono: «Tanti sono preoccupati»

I frontalieri: senza di noi la Svizzera chiude bottega

Le grandi manovre al confine sono cominciate. Il Canton Ticino segue la pancia e batte il pugno sul tavolo delle relazioni internazionali: i transfrontalieri non sono più i benvenuti. Accettano stipendi più bassi e portano scontento nel cortile di casa, gli svizzeri vengono prima e devono diventare la priorità. Ora c'è un referendum, passato con il 58 per cento dei consensi, a sancire l'inquietudine di un popolo, ma c'è anche, di qua della frontiera, il governatore lombardo Roberto Maroni che prova a ribaltare il meccanismo e a fare concorrenza a Lugano: «Oggi vedrò Renzi che arriva a Milano - spiega il presidente della regione Lombardia - e gli consegnerò copia della proposta di legge per l'istituzione di una Zes, zona economica speciale, nelle aree della Lombardia confinanti con la Svizzera». Un'idea che a Roma è stata infilata nei cassetti del Parlamento dove giace tuttora, ma non per questo meno interessante. «In sostanza - aggiunge Maroni - si tratta di dare agevolazioni fiscali alle imprese che si insediano a pochi chilometri dal confine, ma sul nostro territorio». Sarebbe un modo per attrarre ricchezza e lavoro, invertendo i rapporti di forza con la vicina regione.

Sessantaduemila persone attraversano ogni mattina la linea che separa i due Paesi e vanno in ufficio di là, dove c'è molto malessere, ma anche stipendi più alti e una disoccupazione ferma ad un per noi fantascientifico tre per cento. Insomma, lo scambio di colpi per ora è solo virtuale. È tutto nel perimetro di una politica che non sa più decifrare gli umori della gente. La Gran Bretagna se ne va dall'Europa, sulla Germania sempre composta soffia il vento del radicalismo, l'establishment francese arranca e gli svizzeri scrutano allo specchio le proprie preoccupazioni. Tempi duri, con segnali forti in tutte le direzioni. Con il boccino, almeno in questo giro, nelle mani della destra dell'Udc e della Lega dei Ticinesi. Gli abitanti del Cantone, poco più di trecentomila, hanno fatto sentire la loro voce, ma questo non significa che sia imminente un blocco o un esodo. Anzitutto perché la volontà popolare deve incastrarsi dentro i complessi equilibri costituzionali di un Paese che non finisce a Lugano o a Bellinzona. La consultazione popolare, insomma, vale per fare pressioni su Berna e sul parlamento, ma non basta per fermare o ridurre i flussi quotidiani dei pendolari. E poi il Cantone ha bisogno come il pane di braccia e teste che in casa scarseggiano.

Dunque, certe visioni allarmistiche o apocalittiche non hanno ragione di essere, anche se l'evoluzione dei rapporti va verso un irrigidimento. «Mi telefonano tanti connazionali - fa sapere Eros Sebastiani, presidente dell'Associazione frontalieri di Varese, la provincia da cui quotidianamente si spostano 25 mila persone contro le 22 mila che vanno su è giù da Como -. Molti pensano che avranno problemi alla frontiera o altro ancora, ma non è così, tocca a Berna legiferare. Tranquilli, per ora almeno non succederà niente. E poi a Lugano c'è la consapevolezza che senza i nostri lavoratori molte imprese non potrebbero andare avanti». La partita è solo alle battute iniziali. I Ticinesi guardano a Berna ma anche a Milano e Roma. Maroni sfrutta l'assist e complice il calendario istituzionale e il faccia a faccia con il premier, rilancia: «Renzi inserisca la Zona economica speciale nella legge di stabilità».

Sarebbe la risposta perfetta al voto di domenica e alle paure che corrono lungo il confine».

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