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I «no» che aiutano gli scafisti: è il muro di gomma delle Ong

Altro che trasparenza. Rifiutano di fornire i video, di avere agenti a bordo, di riferire i fatti alla polizia

I «no» che aiutano gli scafisti: è il muro di gomma delle Ong

«È vergognoso che i politici e alcuni media ci accusino», hanno detto i rappresentanti delle Ong che aderiscono ad Aoi e Forum del terzo settore nel corso di una conferenza stampa a Roma, l'altro ieri. C'è anche una lettera aperta al procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, firmata dal presidente emerito di Intersos, Nino Sergi, che gli ha scritto: «Dalle sue affermazioni risulta che lei conosce molto poco il mondo delle Ong, le loro fonti e modalità di finanziamento, il sistema di controlli interni che hanno adottato, le ispezioni a cui sono periodicamente sottoposte dalle istituzioni pubbliche nazionali, europee da cui ricevono finanziamenti per le attività, che sono a loro volta valutate».

Eppure i comportamenti delle organizzazioni non governative sono tutt'altro che collaborativi con le istituzioni. In primis c'è l'inchiesta della Procura di Trapani, che starebbe indagando alcuni membri dell'equipaggio di una nave di Medici senza frontiere perché avrebbero convinto i migranti a non parlare con la polizia per il famoso «debriefing» al momento dello sbarco. Avrebbero peraltro agito, provvedendo a un soccorso, senza avvertire la Capitaneria di porto italiana. Un fatto che va a braccetto con un altro molto simile. Alcuni dei comandanti delle navi delle Ong in arrivo nei porti italiani si rifiutano, infatti, di dare i filmati dei recuperi agli agenti, impedendo a chi indaga di poter risalire a eventuali scafisti o trafficanti di uomini. Un atteggiamento che ha portato a denunce. C'è poi l'avvicinamento alle coste libiche, ammesso da Medici senza frontiere. Il responsabile di Msf, Marco Bertotto, ha detto a più riprese che sono arrivati «un totale di sei volte a 11.5 miglia dalla Libia». Tre volte solo nell'arco del 2016.

E c'è anche chi decide di spegnere i transponder per non essere identificato e per non far risalire alla sua posizione. Attraverso app di rilevamento gps, infatti, si può vedere con facilità dove sono localizzate le imbarcazioni Sar. Che, magicamente, spariscono per poi riapparire quando sono a breve distanza dalle coste italiane. C'è poi un'altra Ong, Sea Watch, che si rifiuta di avere a bordo delle sue navi i poliziotti italiani.

La maltese Moas dei Catrambone lancia i droni in mare, per avvistare i barconi e solo dopo avverte la Guardia costiera. E c'è poi Sea Eye, che si oppone all'accordo tra il governo italiano e quello libico e definisce «mercenari» i guardacoste libici, gli stessi che accusano le Ong di favorire le partenze e l'immigrazione clandestina. Insomma, comportamenti che hanno indotto quattro Procure ad aprire altrettanti fascicoli per individuare responsabilità ed eventuali connivenze tra organizzazioni non governative e trafficanti di esseri umani. D'altronde basta guardare i dati degli sbarchi e quelli relativi alle morti in mare per capire come, da quando queste realtà operano nel Mediterraneo, i numeri siano lievitati. Nel 2014, con Mare Nostrum e poi Triton in corso, i migranti giunti sulle coste italiane furono circa 170mila, nel 2015 circa 153mila, nel 2016 181mila e per il 2017 il ministero dell'Interno prevede ne possano arrivare 200mila.

C'è poi la questione provenienze.

Molti immigrati arrivano da zone di guerra o instabilità politica, ma molti altri anche da Paesi dove sicuramente c'è un disagio, ma non vi sono conflitti in corso.

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