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Con i pirati anche attivisti italiani "no border"

Tra loro un triestino già coinvolto negli scontri al Brennero. Quella rete che ostacola la polizia

Con i pirati anche attivisti italiani "no border"

Attivisti «no border» veterani degli scontri a Idomeni e al Brennero che vogliono abbattere le frontiere. Pasdaran dell'immigrazione ad ogni costo che fanno di tutto per non aiutare la polizia a identificare gli scafisti. Non solo tedeschi, ma diversi italiani e pure un americano e un canadese talebani dell'accoglienza. L'equipaggio della Iuventa sequestrata dalla procura di Trapani per «favoreggiamento all'immigrazione clandestina» è tutt'altro che indipendente e al di sopra della parti come dovrebbe essere un'organizzazione spinta solo da motivi umanitari.

A bordo dell'imbarcazione sequestrata c'è anche Tommaso Gandini, un noto attivista «no border» triestino finito nei guai nel 2012 per l'assalto alla prefettura del capoluogo giuliano. Il «disobbediente» di sinistra non è un volontario di primo pelo. Sul portale di informazione dell'Osservatorio Balcani Caucaso è stato pubblicato un suo lungo scritto come «resoconto dell'impegno di un attivista italiano fra Idomeni e il Brennero, contro confini che dividono e umiliano». Gandini è arrivato nel campo profughi in Grecia di Idomeni nel marzo 2016 nel ruolo di «attivista dei centri sociali». I no border ai tempi del flusso migratorio attraverso i Balcani hanno fatto di tutto per far passare i migranti, compresi assalti e rivolte, nonostante gli sbarramenti della polizia. Al Brennero altra tappa dell'attivista triestino ci sono state cariche e scontri. «Dopo l'enorme esposizione mediatica di quanto accade a Idomeni e al Brennero - scriveva - si aprono degli spazi che i movimenti e gli attivisti di tutta Europa dovranno usare per mantenere la speranza di far crollare il patto fra Turchia ed Europa (sui migranti, nda) e per far riaprire le frontiere. «Open the Border» chiedono da Idomeni, e noi risponderemo con «No Border», perché per noi i confini non esistono».

Gli investigatori, che lavorano al caso delle collusioni con i trafficanti di uomini in Libia, spiegano che «l'equipaggio di nave Iuventa è composto in gran parte da volontari non pagati, che cambiano spesso. Molti italiani, tedeschi, ma anche un americano ed un canadese». E «buona parte abbraccia determinate idee rispetto ai migranti». A tal punto che bisogna far di tutto per ostacolare le indagini della polizia e l'identificazione degli scafisti.

Una donna intercettata a bordo sostiene chiaramente che non ha nessuna intenzione di consegnare agli agenti italiani «materiale video fotografico relativo ai soccorsi e immagine di soggetti che conducono imbarcazioni di migranti in quanto potrebbero essere arrestati» si legge negli atti dell'inchiesta. L'Ong tedesca Jugend Rettet ha acquistato la nave grazie ad una raccolta fondi in rete di 290mila euro. I fondatori sono il ventunenne Jakob Schoen di Berlino, Lena Waldhoff, che in parlamento ha dichiarato di non voler aiutare le autorità italiane «ad identificare gli scafisti» e Titus Molkenbur.

Sulla prua gli attivisti dell'equipaggio hanno addirittura appeso la scritta «Fuck Imrcc», rivolto al coordinamento dei soccorsi della guardia costiera a Roma.

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