Cronache

I soldati dell'Est e il codice d'onore. "Morire piuttosto che arrendersi"

Il bandito si sarebbe formato in Russia o Jugoslavia Tra marce nella neve, violenze fisiche e psicologiche

I soldati dell'Est e il codice d'onore. "Morire piuttosto che arrendersi"

Il tenente dei corpi speciali che si è fatto bombardare piuttosto che venir catturato dai tagliagole delle bandiere nere. L'ex Spetnatz pronto a sfidare i temibili ceceni per proteggere chi vi scrive come guardia del corpo. Il massacrante addestramento delle forze operative di Mosca e i volontari russi nell'ex Jugoslavia votati alla morte. Igor Vaclavic, il sanguinario bandito noto come il «russo», ma che forse viene dall'ex Jugoslavia dove potrebbe essersi fatto le ossa nel carnaio dei Balcani, ha sicuramente un addestramento militare di prim'ordine. Non a caso gli danno la caccia i carabinieri paracadutisti del reggimento Tuscania, che hanno operato nelle missioni più dure dall'Iraq all'Afghanistan, e i Gis, i corpi speciali dell'Arma.

Le unità d'élite russe sono leggendarie per il loro addestramento oltre l'umana sopportazione. E per le azioni sul campo. Il 17 marzo dello scorso anno il tenente Alexander Alexandrovich Prokhorenko si è infiltrato dietro le linee dello Stato islamico in Siria. La sua missione era indirizzare i bombardamenti sulle unità dell'Isis vicino a Palmira. I tagliagole jihadisti lo hanno individuato e circondato. I messaggi radio con il suo comandante sono stati resi pubblici su ordine del Cremlino: «Sono circondato. Non voglio che mi prendano per usarmi e farsi beffe di me e dell'uniforme che indosso. Bombardate. Voglio morire con dignità e portare via con me tutti questi bastardi. Questa è la fine comandante. Si occupi dei miei familiari e vendicatemi». Un caccia ha eseguito l'ultimo ordine del tenente dichiarato eroe della Russia da Vladimir Putin.

Igor il «russo» è solo un criminale, ma si muove come Rambo mettendo in scacco le forze dell'ordine. Anni fa lo avevano già preso con bandana, arco e frecce, che si nascondeva nei boschi. In Inghushezia, al confine con la Cecenia quando era in mano ai ribelli islamici, una squadra di ex Spetsnaz diventati guardie del corpo di un'agenzia privata era stata inviata dall'ambasciata italiana per proteggere chi vi scrive. Il mio compito era liberare un fotografo di Panorama sequestrato dai ceceni. Uno degli ex Spetsnaz, grande come un armadio, si avvicinò dicendo: «Gli ordini sono di scortarla, se necessario anche all'inferno». Se le cose fossero andate storte sarebbe stato inutile morire in due. Così ho proseguito da solo e riportato a casa il fotografo. Un aneddoto che spiega come per certi militari dell'Est Europa la vita, anche se non ha prezzo, si può sacrificare per fare il proprio dovere.

Igor il «russo», 41 anni, nato a Taskent, capitale dell'Uzebikistan sembra che abbia fatto il militare in fanteria. La sua terra d'origine è una delle ex repubbliche sovietiche dell'Asia centrale da dove arrivano gli ultimi terroristi di San Pietroburgo e Stoccolma. Anche in certi reparti operativi di fanteria dell'armata russa l'addestramento è durissimo. Marce della morte nella neve, simulazione con violenze di ogni genere per farti sopportare un interrogatorio se catturato, pugni nello stomaco e prove di forza di ogni genere. Secondo alcune fonti il super latitante più che «russo» avrebbe combattuto nell'ex Jugoslavia, dove sopravviveva solo chi era addestrato a uccidere. All'assedio di Dubrovnik (Ragusa) difesa con le unghie e con i denti dai croati sulla costa dalmata c'erano anche i «lupi», ex militari dell'Armata rossa, che avevano deciso di continuare a imbracciare il fucile dopo il crollo dell'Urss. In gran parte si erano arruolati nelle neonate milizie cosacche. Secondo la leggenda piuttosto che arrendersi gli antichi cavalieri degli Zar preferiscono morire.

Vaclavic potrebbe seguire lo stesso copione. Una tradizione dei corpi d'elite di Mosca. Durante l'invasione sovietica dell'Afghanistan negli anni ottanta i mujaheddin catturarono un Rambo dell'Armata rossa, che si era paracadutato dietro le linee. Prima avevano cercato di convincerlo con le buone di convertirsi all'Islam. Poi cominciarono con le cattive seppellendolo a poco a poco nella terra, in verticale, dai piedi alla testa.

«Alla fine ci bastava che rinnegasse i suoi capi e il comunismo - raccontava il capo dei mujaheddin che l'aveva catturato - È morto sepolto vivo».

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