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I tre strati dei grillini: governisti e peones contro Luigino e Dibba

Di Maio piccona Conte e mezzo partito rosica E chi teme le urne prende di mira Casaleggio

I tre strati dei grillini: governisti e peones contro Luigino e Dibba

Dal partito liquido a quello solido. Anzi, a strati. Come il M5s alle prese con una serie di spaccature che si intersecano l'una con l'altra, nel pieno della polemica sul rinnovo del Mes. Con il capo politico Luigi Di Maio tornato a battagliare insieme al «gemello diverso» Alessandro Di Battista. Uno, quest'ultimo, che quando c'è da tirare granate contro il premier Giuseppe Conte, il Pd e il governo, segue a ruota con solerzia il leader di Pomigliano. Rimanendo sullo stesso piano dello scontro, dall'altro lato ci sono quegli esponenti che per semplicità definiremo «governisti». Il gruppo, oltre al premier, include importanti ministri, alcuni ex fedelissimi di Di Maio, quali Alfonso Bonafede, Riccardo Fraccaro, Vincenzo Spadafora e ancora di più gente come Stefano Patuanelli, Federico D'Incà e cosiddetti «fichiani», sempre capitanati dal deputato Luigi Gallo. Ma integrati dai parlamentari che ormai vedono nel premier Conte l'unico riferimento politico. Tra questi spicca il deputato siciliano Giorgio Trizzino, considerato da molti in ottimi rapporti con il conterraneo che siede al Quirinale, Sergio Mattarella.

Questo è il piano principale della contrapposizione. Che vede di nuovo dalla parte del capo politico personaggi come il senatore Gianluigi Paragone, già direttore del quotidiano leghista La Padania, balzato lunedì tra le notizie più cliccate per le sue dichiarazioni pubbliche in cui ha affermato che Conte in Parlamento sul Mes ha fatto un discorso da «amministratore di condominio». I due, Conte e Di Maio, lunedì sera pubblicamente hanno cercato di ammorbidire i toni, dopo la freddezza durante le comunicazioni del premier in Aula. Ieri invece il capo politico ha fatto ripartire la bagarre: «Detto questo - ha scritto in un post su Facebook - il M5s continua a essere ago della bilancia. Decideremo noi come e se dovrà passare questa riforma del Mes, che è una cosa seria e su cui gli italiani debbono essere informati accuratamente». A quel punto Di Battista commenta il post: «Concordo. Non così, non conviene all'Italia. Punto». Il leader del M5s nel suo post ha anche risposto direttamente a Conte, sottolineando che tutti i ministri gialloverdi erano sì a conoscenza della riforma del Mes, ma che sapevano anche che il rinnovo del fondo sarebbe dovuto passare attraverso un «pacchetto», che prevedeva la riforma dell'unione bancaria e l'assicurazione sui depositi.

Gli esegeti, ma critici, del testo del capo politico ieri si sono soffermati su due particolari: la citazione di Gianroberto Casaleggio all'inizio del post e il richiamo all'essere «ago della bilancia». Il primo è interpretato come una strizzata d'occhio al mondo che gira intorno a Davide e a Rousseau, il secondo è così letto da un esponente di rito «fichiano»: «Sinceramente non so dove voglia arrivare Di Maio». Il timore è che voglia arrivare a staccare la spina all'esecutivo giallorosso per riconquistare il M5s.

Ed ecco il terzo «strato» della sfida. Sono i peones, già pronti a far valere il proprio seggio nel caso sentissero l'odore della crisi. I sondaggi sono impietosi e molti, anche se ricandidati, potrebbero non essere rieletti. Si parla di minacce di passaggi alla Lega per non perdere la poltrona. Nella pancia dei gruppi stellati è tornato forte il malumore per i solleciti sulle restituzioni, ancora al palo, e per i versamenti a Rousseau.

Tanto che un giovane deputato, protetto dall'anonimato, si avventura in un discorso che fa così: «Parlano tanto di Renzi e Open ma forse non è molto diverso da ciò che fa Casaleggio».

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