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Lo ius soli non serve all'Italia: boom di cittadinanze a 18 anni

I dati diffusi dall'Istat: nel 2016 circa 61 mila dei giovani nuovi cittadini sono nati in Italia

Lo ius soli non serve all'Italia: boom di cittadinanze a 18 anni

Fermiamoci un attimo a ragionare. E chiediamoci: lo ius soli serve davvero? È veramente una legge "di civiltà" senza la quale migliaia di bambini stranieri nati in Italia (o arrivati prima dei 12 anni) vivono nel Belpaese senza poter diventare cittadini?

Risposta semplice: non è così. E non lo dice un "populista" qualsiasi, né un razzista convinto. Ma l'Istat (e il buonsenso). L'Istituto di statisca ieri ha diffuso i dati sulla concessione dei documenti agli extracomunitari. E lo spaccato che ne emerge è distante mille miglia dagli allarmistici proclami di chi sostiene lo ius soli.

Osserviamoli da vicino. Nel solo 2016 184.638 persone non comunitarie hanno acquisito la cittadinanza italiana. Un boom incredibile, considerando che nel 2011 erano appena 50mila. Tra questi, il 41% sono bambini e ragazzi con meno di 20 anni e che l'hanno ottenuta o per eredità dai genitori (di origine straniera naturalizzati italiani) oppure richiedendola al compimento del 18esimo anno di età.

Piccolo inciso che è bene ricordare: in base alla legge attuale, un bambino nato qui può richiedere il passaporto a 18 anni. Basta fare una semplice domanda. E lo stesso vale per chi vive nelle nostre città da molti anni (al netto di qualche lungaggine burocratica). "A che serve regalarla appena partoriti?", si chiedeva Kawtar Barghout, marocchina e musulmana contraria allo ius soli. Non aveva tutti i torti, e i numeri lo confermano.

Come riporta l'Istat, infatti, circa 61 mila dei giovani nuovi cittadini sono nati qui. Ragazzi che, nonostante l'assenza dello ius soli, sono comunque riusciti a conquistare il passaporto col timbro della Repubblica. Molti di loro hanno fatto richiesta una volta diventati maggiorenni: se nel 2010 arrivavano solo 10mila richieste, nel 2016 gli uffici competenti ne hanno ricevute 76mila. Alla faccia dello ius soli.

Per i favorevoli, la norma arenata al Senato si tratta di una "legge di civiltà" perché "chi nasce in Italia e parla la nostra lingua è italiano". Di più: i dirigenti del Pd romano sono arrivati a sostenere che si tratta di "un atto di giustizia sociale accogliere quel bambino, integrarlo in un sistema di valori farlo vivere e crescere in una società accogliente e non respingente, dargli le stesse opportunità che hanno tutti gli altri bambini senza che si costruiscano muri e barriere e si alimenti paura e rifiuto". Belle parole, peccato si tratti di travisamento della realtà.

Già, perché i pargoli nati qui da genitori stranieri godono degli stessi diritti dei loro coetanei con la carta di identità italica. Non cambia nulla. "Sei equiparato in tutto - spiegava chiaramente Barghout - la tessera sanitaria ce l'hai, il conto corrente puoi aprirlo, a scuola puoi andare. È un non problema. Io sono stata extracomunitaria fino a 24 anni: qui mi avete curato il diabete, mi sono iscritta all'Università, ho studiato, ho viaggiato. Senza alcun disagio".

Facciamo un riassunto. Secondo l'Istat - nonostante lo ius sanguinis - il numero di bambini venuti alla luce in Italia che ottengono la cittadinanza sta aumentando a vista d'occhio (segno che si tratta di un "non problema").

Inoltre, dal punto di vista pratico avere o meno quel pezzo di carta non cambia la vita, se non per abbreviare qualche passaggio burocratico. Perché allora intestardisti tanto nel voler approvare una norma così divisiva? Perché regalare la cittadinanza a chiunque venga partorito nel Belpaese, rischiando di incentivare il flusso migratorio di chi spera di regalare un futuro europeo ai propri figli?

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