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Il j’accuse di Renzi: "Quelle toghe rosse che si vantano di non essere imparziali. Come nel caso Lucano"

Nel suo ultimo libro l’ex premier attacca Md e il pm Sirianni che invocò per lui un "cordone sanitario": "Si è messo al servizio dell’ex sindaco di Riace indagato"

Il j’accuse di Renzi: "Quelle toghe rosse che si vantano di non essere imparziali. Come nel caso Lucano"

Io non attacco i magistrati. Anzi, difendo i magistrati che lavorano bene, come quelli in prima linea sulle inchieste contro la criminalità, dall'ondata negativa che deriva dai comportamenti sbagliati di alcuni loro colleghi, una minoranza. Ma chiedo che i giudici abbandonino la facile via del corporativismo. E soprattutto che accettino di sottoporsi a un giudizio di merito. Sei bravo, fai carriera. Non sei bravo, non fai carriera. Non è che se anche commetti molti errori vai avanti lo stesso perché appartieni alla corrente giusta. Non è possibile che il 99,2% dei magistrati riceva un giudizio positivo, come fa spesso notare il presidente delle camere penali, Gian Domenico Caiazza.

Forse si spiega così una parte della demonizzazione che subisco, della mostrificazione che mi riservano. La mia battaglia per la meritocrazia diventa un pericolo. Anche perché tutti sanno che finché saranno decisive le appartenenze alle singole correnti, il merito conterà meno. E le correnti potranno permettersi di tutto, dalle strane sponsorizzazioni ai convegni, come quello organizzato in Abruzzo da Magistratura democratica con la ricca sponsorizzazione di una malmessa Banca popolare di Bari, una banca i cui rapporti con certa parte del Csm, specie sotto la vicepresidenza Legnini, sono passati sotto traccia.

Faccio un esempio e tocco proprio la corrente di Magistratura democratica. Come altre correnti ha una rivista, che si chiama «Questione giustizia». È diretta da uno storico magistrato, ora in pensione, che si chiama Nello Rossi. Qui ci limitiamo a valorizzare il grande contributo dato dal direttore della rivista di Magistratura democratica: egli propone di stringere attorno a me un cordone sanitario.

Ora vi domando: ma vi sembra possibile che il punto di riferimento, chiamiamolo culturale, di una delle correnti storiche della magistratura, Magistratura democratica, possa parlare di un cordone sanitario rispetto alle idee di un ex premier e nessuno avverta il bisogno di rispondergli? «Stringere un cordone sanitario». Ma adesso tutte le volte che sarò giudicato da un giudice di Magistratura democratica potrà venirmi il legittimo sospetto che ci sia un pregiudizio da parte di chi indaga su di me o di chi mi giudica. Perché se il direttore della rivista di una corrente invita i colleghi a stringere un cordone sanitario, con quale serenità posso mettere piede in un'aula di tribunale? Si dirà: ma è solo l'opinione di uno. Eh no. È l'opinione del direttore della rivista della corrente che decide chi fa carriera e chi no. E quella corrente chiede il cordone sanitario. E non c'è un solo esponente delle istituzioni che si alzi e che dica: scusi, signor direttore della rivista della corrente, il suo cordone sanitario lo utilizzi per altre cose, grazie. Non c'è nessun magistrato iscritto a Magistratura democratica - tra cui, sia detto en passant, c'è anche una parte dei miei accusatori - che avverta l'esigenza di ribadire che nel gioco democratico una corrente dei magistrati non può utilizzare questo linguaggio minatorio e offensivo verso un cittadino, per di più senatore, per di più già capo del governo.

Io non ho paura. Non scriverei un libro se avessi paura. Cercherei di minimizzare, di nascondere, di «troncare, sopire, sopire, troncare» come il Conte Zio di manzoniana memoria. Ma penso che questo metodo sia inaccettabile. E siccome hanno tutti paura a dirlo, io lo scrivo. Perché resti agli atti: non è la politica che invade il terreno della magistratura, è una corrente della magistratura che parla di cordone sanitario verso un senatore, per le sue idee. Idee che - sia detto chiaramente - la Costituzione protegge, quali esse siano, come intoccabili dal potere giudiziario. Perché nella separazione dei poteri nessuno può essere chiamato a rispondere per le proprie idee o per i propri voti. Non mi pare che l'articolo 68 della Costituzione preveda una riserva del tipo: «Nessun parlamentare può essere chiamato a rispondere delle proprie idee, a meno che non sia fiorentino, nel qual caso può essere sottoposto a cordone sanitario preventivo a condizione che ciò sia richiesto da un dirigente di Magistratura democratica».

E per capire come funziona la mentalità di certi magistrati - fortunatamente, a mio avviso, una minoranza - è interessante entrare in una strana vicenda calabrese. L'ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, diventa un'icona delle politiche di accoglienza. I suoi metodi, tuttavia, vengono giudicati illegali dalla procura di Locri che lo porta a processo. Non tocca a me qui discutere della condanna di primo grado che Lucano riceve, che pure appare abnorme, anche rispetto alla contestazione. È interessante leggere gli atti di quel processo. Perché quando gli inquirenti mettono sotto controllo l'amministratore pubblico scoprono che uno dei suoi principali sostenitori è un loro collega. Questo magistrato si chiama Emilio Sirianni ed è un dirigente territoriale di Magistratura democratica, noto per certe performance canore terminate col pugno chiuso dal terrazzo di casa e messe su Facebook. E fin qui passi, anche se pensare che il presidente della sezione Lavoro della Corte d'Appello di Catanzaro esprima le sue idee in questo modo mi pare che offra un'immagine di scarsa imparzialità. Vi immaginate la prima volta che gli arriva sul tavolo il ricorso contro il Jobs Act? Ma ciò che fa Sirianni è molto più grave del pugno chiuso nel video dalla terrazza orgogliosamente postato su Facebook. Intercettato, come raccontano Sallusti e Palamara nel loro libro Lobby e logge, viene scoperto a dare consigli a Lucano, insultando colleghi e politici, suggerendo di parlare poco al telefono. E poi ci sono le parole scandalose che nessun organo istituzionale avverte il bisogno di smentire: «Magistratura democratica è nata con una cultura della corporazione, dicendo: noi non siamo giudici imparziali, o meglio noi non siamo indifferenti, noi siamo di parte».

Intendiamoci: io qualche sospetto l'avevo, non è proprio un fulmine a ciel sereno. Ma vi rendete conto dell'incredibile forza di queste parole? Un magistrato italiano, pagato dal contribuente, mentre interviene spiegando a un indagato come difendersi dalle accuse dei suoi colleghi, in taluni casi scrivendogli pezzi della memoria difensiva - non scritta benissimo, a quanto pare, vista la condanna a tredici anni di carcere in primo grado - teorizza che Magistratura democratica abbia una «cultura della corporazione» e si basa sull'assunto che «noi non siamo giudici imparziali».
Ma non vi viene di mettervi le mani nei capelli? Non può esistere che un giudice faccia ciò che ha fatto Sirianni. E se i giudici come Sirianni anziché fare la lotta alla 'ndrangheta fanno la lotta ai nemici di classe e passano le giornate a scrivere le memorie agli imputati amici, questo è un problema per la magistratura italiana.

Chi è che appanna la figura della magistratura? Io perché scrivo un ricorso o il magistrato di Magistratura democratica che dice queste bestialità nel silenzio imbarazzato di tutti?
C'è gente che va a processo per molto meno: il comportamento di Sirianni è stato archiviato.

C'è gente che è stata radiata per molto meno: Sirianni non ha ricevuto nessuna sanzione disciplinare dal Csm.

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