Interni

Re Giorgio, il presidente monarca che ha comandato per nove anni al Colle

Napolitano si è spento alle 19,53 a 98 anni Il suo lungo regno da capo dello Stato rieletto e la vita sotto il segno del Pci. Guidò anche la Camera dei deputati. Il feretro al Senato

L'addio a Re Giorgio. Il presidente monarca che ha comandato per nove anni al Colle

Ascolta ora: "L'addio a Re Giorgio. Il presidente monarca che ha comandato per nove anni al Colle"

L'addio a Re Giorgio. Il presidente monarca che ha comandato per nove anni al Colle

00:00 / 00:00
100 %

Quasi un secolo di vita, 98 anni, combattuti fino all'ultimo. Gravissimo da un paio di settimane, qualche giorno fa i medici del Salvator Mundi avevano perso le speranze e confidavano solo «nella sua forte tempra» ma lui continuava a tenere botta. Quasi un secolo, che racchiude tutte le forze e le contraddizioni e i contrasti nel nostro recente passato. Come dice adesso Sergio Mattarella, l'uomo che ha ereditato il suo regno. «Nell'esistenza di Giorgio Napolitano si specchia larga parte della storia della seconda metà del Novecento, con i suoi drammi, con la sua complessità, con i suoi traguardi».

King George, il re della Repubblica, è morto in serata. Accanto a lui la moglie Clio e i due figli. Ora la camera ardente al Senato. Se ne va il monarca che per più di nove anni ha comandato le operazioni dal Colle. Il presidente dei record, del braccio di ferro con Silvio Berlusconi, del ribaltone, dei poteri elastici, degli scontri con i magistrati politicizzati. Luci, ombre, un uomo molto amato e insieme molto odiato. Comunque non un personaggio banale.

Primo esponente del Pci a piacere agli Usa: l'ambasciatore Gardner lo incontrava di nascosto. Primo dirigente del Bottegone a parlare un inglese fluente e ad ottenere il visto per Washington: nel partito, dove era sempre in minoranza, lo chiamavano l'amerikano. Primo comunista a salire al Quirinale. Primo presidente della Repubblica ad essere rieletto. Primo capo di Stato a subire un interrogatorio dai pm di Palermo.

Da tempo era ricoverato al Salvator Mundi, in «un quadro generale particolarmente complesso». Da una settimana si era pure aggravato e, raccontano fonti sanitarie, «nelle ultime ore la situazione si era ulteriormente complicata». Appeso un filo, che si è spezzato. E non è vero, fanno sapere dalla famiglia, che i medici avessero staccato le macchine che lo aiutavano a respirare. Nessun accanimento terapeutico ma anche nessuna forma di accompagnamento.

Del resto l'ex capo dello Stato ha una storia medica complessa. Già nel 2013, alla conclusione del suo primo mandato, era pronto ad abbandonare Il Quirinale. La fatica, gli acciacchi, pareva difficile restare lì nonostante il peggioramento della situazione politica. Le elezioni senza vincitori, nessun nome alternativo per il Colle, Romano Prodi e Franco Marini impallinati dal fuoco amico dei franchi tiratori del Pd, i grillini per conto loro impantanati nella candidatura di Stefano Rodota. L'ingorgo istituzionale, la tempesta perfetta che stava per inghiottire il Paese. Niente governo, niente presidente della Repubblica, nessuno che potesse sciogliere di nuovo le Camere e rimandare gli italiani alle urne.

Così i leader dei principali partiti di centrosinistra e centrodestra erano saliti per le scale del palazzo dei Papi e avevano chiesto a King George di restare ancora sul trono. Lui, la salute già traballante, compiuti già novant'anni, si era fatto convincere per spirito di servizio, battezzando un governo di unità nazionale guidato da Enrico Letta con al primo punto del programma le riforme istituzionali. Unica condizione, la durata del mandato: io rimango, però non per sette anni.

Il patto era durato poco, il tempo che un tribunale condannasse il Cav e che il centrodestra uscisse dalla maggioranza. Poco era durato pure il picco di popolarità di Napolitano, che aveva raggiunto il suo massimo con il discorso nel quale ha scudisciato il Parlamento incapace.

Nel gennaio del 2015 le dimissioni, da presidente più anziano della storia d'Italia. A Palazzo Giustiniani aveva continuato a seguire la politica: incontri, discorsi, suggerimenti a Mattarella su come gestire le crisi. Ma le sue condizioni iniziavano a peggiorare. Nel 2018 un malore improvviso e il ricovero d'urgenza all'ospedale San Camillo, dove il professor Francesco Musumeci lo aveva operato per la dissecazione dell'aorta. Giorni passati tra la vita e la morte, poi il recupero «grazie alla sua forte fibra». Nel maggio 2022 altro allarme, quando re Giorgio fu costretto a subire un intervento addominale allo Spallanzani. Due ore sotto i ferri, nove giorni di convalescenza prima di rientrare nella sua casa al quartiere Monti. «Ha tempra e coraggio da vendere», le parole di Giuseppe Ettorre, il chirurgo oncologo.

Infine, l'ultimo ricovero.

Commenti