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L'arma di ricatto di Pechino: spostare i suoi vacanzieri

Il governo premia o punisce i Paesi che non si allineano orientando flussi da 261 miliardi di dollari

L'arma di ricatto di Pechino: spostare i suoi vacanzieri

Un Paese si oppone ai desideri della Cina? Pechino lo punisce riducendo il flusso di turisti con gli occhi a mandorla per danneggiarne l'economia. Un'«arma» di pressione di massa che si basa sui 141 milioni di turisti cinesi, che hanno viaggiato all'estero lo scorso anno. Ne sta facendo le spese la Nuova Zelanda, che doveva beneficiare del 2019 come anno del turismo cinese deciso da Pechino. Il primo ministro Jacinda Ardern sta decidendo di mettere al bando la rete 5G della Huawei, per timori sulla sicurezza. A febbraio le autorità di Pechino hanno rinviato il lancio dell'anno del turismo in Nuova Zelanda. Si teme un calo di presenze pilotato da Pechino e dagli stessi turisti cinesi, che preferiscono avere una loro rete cellulare all'estero.

Il «ricatto» dei vacanzieri viene usato da anni dalle autorità di Pechino. Nel 2018 l'isola-nazione di Palau nel Pacifico meridionale ha osato dire no alla richiesta di abbandonare il riconoscimento della ribelle Taiwan per la grande Cina. Il paese vive sul turismo per il 45% cinese. I mandarini comunisti hanno imposto un bando alle agenzie viaggio sulle vacanze a Palau.

Altrettanto clamorosa la punizione alla Corea del Sud, tradizionale meta dei turisti cinesi. Nel 2017 il governo di Seul ha dispiegato il Thaad, sistema anti missile americano, che i militari cinesi vedono come fumo negli occhi. La «rappresaglia» non si è fatta attendere: i turisti sono crollati dai 7 milioni del 2016 a 3 milioni l'anno dopo. Una perdita secca di 7 miliardi di dollari.

Un anno prima, dopo l'elezione a Taiwan del presidente nazionalista Tsai Ing-Wen, nemico di Pechino, l'arrivo di visitatori cinesi è crollato del 30% nei mesi successivi. «La Cina usa il suo flusso turistico come arma diplomatica» ha dichiarato Li Chi-yueh titolare di un'agenzia viaggi taiwanese.

In eguale maniera il turismo può essere usato come carota per invogliare un Paese ad accettare le richieste di Pechino. Nel 2018 il governo cinese ha proclamato l'anno delle vacanze di Turchia promettendo l'arrivo di mezzo milione di turisti, il doppio rispetto al 2017. Una manna per l'economia turca in crisi, che ha convinto Ankara ad aderire al grande progetto economico ed energetico della nuova via della Seta.

La posta in gioco sono i 261 miliardi di dollari spesi dai vacanzieri cinesi solo nel 2017. Le previsioni parlano per il 2025 di un'impennata a 220 milioni di turisti cinesi nel mondo. Internet e la maggiore autonomia stanno allentando le briglie governative, ma le autorità cinesi hanno ancora un enorme potere attraverso le grandi agenzie di viaggio controllate dallo Stato.

Non è un caso che il 2018 sia stato dichiarato da Bruxelles e Pechino l' «Anno del turismo Europa-Cina». In Italia, una delle mete preferite dei visitatori cinesi, l'aumento di presenze è stato dell'11,2% oltre la previsione della Ue.

Evan Rees in un'analisi per Stratfor, centro studi americano sugli scenari globali e l'intelligence scrive: «La Cina è in grado di dirigere e regolare il flusso turistico per punire o premiare i paesi in linea con i suoi obiettivi di politica estera».

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