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L'arresto si chiede se c'è una condanna. Prima è una barbarie

Azzollini e i suoi ipotetici complici ne hanno combinate di ogni colore? Può darsi. Ma per schiaffarli in galera sarebbe necessaria una sentenza, anzi tre

L'arresto si chiede se c'è una condanna. Prima è una barbarie

Ieri ho letto un gustoso articolo di Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, in cui si sottolineano alcune imprecisioni, più o meno gravi, dette da Matteo Renzi a proposito della vicenda Antonio Azzollini. Il quale si è giovato del voto del Parlamento per non marcire in galera, a differenza di altre dieci persone già «dentro» con le medesime accuse, che vi risparmio (solite ruberie), tranne una, la più pittoresca: il senatore del Nuovo centrodestra avrebbe espresso il suggestivo proposito di fare la pipì in bocca a una suora poco incline a ubbidirgli. Qui non si capisce se fosse una promessa o una minaccia, ma non importa: de gustibus non est disputandum , dicevano gli antenati di Roma ladrona e di Mafia capitale.

Travaglio, che secondo me oltre al giornalista potrebbe fare il docente di diritto (nelle sue varie declinazioni specialistiche), ci ha spiegato per filo e per segno come qualmente Azzollini dovesse essere arrestato, anziché graziato dai colleghi. Il famoso direttore ha sicuramente ragione in base ai sacri testi: non oso contestare le sue dotte tesi. Tuttavia, io che sono un cronista tutt'altro che umile sostengo, invece, che anche gli altri dieci (o undici, l'è istess) detenuti per le medesime porcherie andrebbero scarcerati.

Lo dico senza entrare nel merito della fetentissima inchiesta, le cui carte li dipingono quali mascalzoni di prima grandezza, ma semplicemtenete perché sono convinto - ingenuamente, forse - che una o venti persone prima di essere imprigionate dovrebbero essere processate e condannate. Blindarle in fase istruttoria, cioè quando ancora si ignora se siano colpevoli o no, è una barbarie, retaggio di tempi oscuri quando il principe, per non sapere né leggere né scrivere, se sospettava che tu fossi un gaglioffo ti rinchiudeva nella torre ed erano cavoli tuoi. Se poi, miracolosamente, riuscivi a dimostrare di essere puro come un giglio, tornavi libero e amen. Intanto, però - fino a sentenza definitiva - soffrivi in cella.

Conosco le obiezioni di Travaglio - che tecnicamente stimo, e ciò potrebbe svantaggiarlo - le quali non fanno una grinza: il fumus persecutionis c'è o non c'è. Se c'è, il soggetto in esame va salvato; se non c'è, va inchiodato. Ogni altra elucubrazione fa rima con masturbazione. Vero, verissimo, sacrosanto. Non è questo il punto, però, visto che un cittadino - sieda a Palazzo Madama o altrove - è obbligato comunque a sottostare alla legge: se essa recita che meriti di filare in carcere, lì sei destinato ad andare e buona notte. Non sono tuttavia d'accordo sulla necessità della cosiddetta custodia cautelare, se non in casi molto particolari. Oddio, in questo senso le norme non mancano. Si ammanetta uno se minaccia di fuggire, se vi sia il timore che inquini le prove o addirittura reiteri il reato. Tre circostanze rare.

Prendiamo Massimo Bossetti, il presunto assassino di Yara Gambirasio. Dove vuoi che scappi senza una lira in tasca? Quali prove vuoi che inquini se lo hanno promosso addirittura cornuto ufficiale? Quanto alla reiterazione del reato, prego i magistrati di evitare almeno il ridicolo. Nonostante ciò, egli è dietro le sbarre da un anno pur non avendo neppure subito il giudizio di primo grado. Figuriamoci Azzollini e i suoi ipotetici complici. Ne hanno combinate di ogni colore? Può darsi. Ma per schiaffarli in galera sarebbe necessaria una sentenza, anzi tre. Viceversa, ci si stupisce che il senatore sia stato risparmiato, quando il problema è che gli altri stanno, viceversa, al fresco pur non meritando una punizione preventiva.

Altra potenziale contestazione di Travaglio alle mie modeste argomentazioni: la legge va rispettata. A parte che è poco rispettata, dato che non si tiene mai conto delle tre condizioni sopra ricordate ai fini della custodia cautelare, mi sembrerebbe indispensabile procedere diversamente. Un signore indiziato di uno o vari reati è naturale che sia sottoposto a indagini, ma è assurdo che in questa fase sia privato della libertà. Conviene attendere che l'investigazione sfoci in un processo di primo grado, poi eventualmente in appello, quindi in Cassazione. Ciò che, per esempio, è accaduto per Silvio Berlusconi. Il quale a Cesano Boscone si è recato a verdetto definitivo e non durante l'iter intermendio.

Azzollini e i suoi compari perché dovrebbero avere un trattamento diverso? Per concludere. Se l'attuale procedura non piace, cambiamola, ma in senso garantista e non in senso opposto. Meglio un colpevole evaso che dieci innocenti detenuti.

Ovvio, questa è la teoria: la pratica vi si attenga sempre, nella consapevolezza che la perfezione non è di questo mondo.

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