Politica

L'autorottamazione di Renzi

Il film di Matteo Renzi: The walking dead... E alla fine il "rottamatore" in autunno correrà il pericolo di essere "rottamato"

L'autorottamazione di Renzi

C'è da augurare lunga vita a Matteo Renzi perché in fondo suscita simpatia, ma politicamente parlando, per usare un'espressione inglese che a molti potrebbe apparire cruda, lui è the walking dead, un morto che cammina. Immagine a tinte forti a cui si è costretti per segnalare un cambio di stagione, dopo che per due anni la «narrazione» agiografica delle gesta del premier sui media l'ha trasformato in un'icona dell'imbattibilità e della sagacia in politica. Invece, all'alba del 6 giugno molti, anche tra i suoi, hanno scoperto che non è così.

Renzi non è riuscito nell'impresa di trasformare il Pd nel partito che può vincere da solo e, contemporaneamente, l'ha privato del potere che aveva fatto forte anche quel vecchio armamentario che era l'Ulivo, cioè la capacità di fare coalizione. Il Pd, senza volere vestire i panni delle Cassandre, dopo essere sparito a Napoli, rischia di perdere nei prossimi ballottaggi non solo una città come Roma, ma anche Milano, Bologna e forse Torino. Motivi? Renzi non ha sfondato nell'elettorato di centrodestra, ha aperto una guerra senza quartiere alla sua sinistra e gli è difficile trovare nelle diverse città possibili interlocutori per allargare la propria maggioranza al ballottaggio. È già successo nel recente passato a Venezia come in Liguria. Una catastrofe. Un piano inclinato che per il premier potrebbe avere il suo drammatico epilogo nel referendum sulle riforme costituzionali di ottobre. Un appuntamento che più trascorrono le settimane e più assume le sembianze della proverbiale sconfitta annunciata.

In uno studio della scorsa settimana emerge che la percezione del Sì nell'elettorato coincide esattamente con l'area della maggioranza di governo. Un governo, però, che non convince sette italiani su dieci e che è guidato da un premier che ha un indice di gradimento tra il 28-29%: in un quadro del genere è probabile che lo schema prediletto dal premier, quello dell'«uno contro tutti», si trasformi nel ben più letale «tutti contro uno». E non c'è bisogno di avere una memoria d'elefante per dire che il referendum è lo scenario più congeniale per il verificarsi di un simile fenomeno. Solo che, circostanza sorprendente, il premier in questo cul-de-sac ci si è ficcato da solo. Dire che ha peccato di presunzione e di arroganza può sembrare un luogo comune, ma mai come in questo caso è vero. Renzi si era presentato come il «rottamatore», l'«innovatore», la risposta della politica all'anti politica, il demolitore delle logiche di Palazzo. Un patrimonio di speranze che ha dissipato in pochissimo tempo. Il successo alle elezioni europee, quel 40% che in termini assoluti però segnava un milione di voti in meno di quelli presi dal Veltroni del 2008 sconfitto da Berlusconi, è stato vissuto dal premier come un momento epico, ma, contemporaneamente, lo ha tuffato in una realtà distorta. Si è convinto di essere il padrone dei giochi rimuovendo un dato di non poco conto: la maggioranza che aveva nel Palazzo, oltre che essere frutto di un premio elettorale giudicato dalla Consulta incostituzionale, era minoranza nel Paese.

Infischiandosene di questo piccolo particolare, il premier ha messo in campo una serie di riforme imposte a maggioranza. Addirittura, nei fatti, ha cambiato la Costituzione e la legge elettorale a colpi di fiducia, disegnandole a sua immagine e somiglianza. Per sopravvivere si è blindato nella sua Torre d'avorio, usando gli strumenti e i metodi della politica che avrebbe voluto rinnovare: ha portato a sé pezzi d'opposizione con il tradizionale «poltronificio». E si è consolidato dando sfogo alla sua bulimia di potere: ora negli enti pubblici, nella Rai e non solo, si parla esclusivamente il toscano. Di contro non ha cambiato la condizione di un'Italia che ha un tasso di sviluppo che è la metà di quello degli altri Paesi europei, in cui le sacche di disoccupazione si allargano, invece di restringersi.Risultato: l'uomo che doveva ridurre la distanza tra il Palazzo e il Paese, l'ha aumentata; l'uomo che doveva rinnovare il sistema, né è stato ingoiato.

E alla fine il «rottamatore» in autunno correrà il pericolo di essere «rottamato».

Commenti