Politica

Il leader Pd punge Bankitalia ma frena la verità sulle banche

Renzi vorrebbe silurare Visco ma il Quirinale dice no. Così si accontenta di bloccare l'inchiesta parlamentare

Il leader Pd punge Bankitalia ma frena la verità sulle banche

Matteo Renzi, a parole, vorrebbe promuovere un grande cambiamento negli assetti delle autorità che vigilano sul sistema finanziario, a partire da Bankitalia. Nei fatti, però, il Pd del quale è segretario è il principale ostacolo a quello stesso cambiamento: il partito non ha ancora comunicato i componenti che vorrebbe designare nella commissione d'inchiesta sui crac bancari, bloccandola nonostante la legge istitutiva sia stata varata il 28 luglio.

«Spero, penso e credo che il governo e le forze parlamentari facciano una scelta all'altezza dei compiti di Bankitalia», ha dichiarato ieri a Radio Capital l'ex premier interpellato sulla nomina del governatore di Bankitalia visto che il mandato di Ignazio Visco scade a fine ottobre. Il numero uno di Via Nazionale, ormai, è diventato il bersaglio preferiti del leader Pd che nel suo libro Avanti ha scaricato su Palazzo Koch la responsabilità dei disastri bancari degli ultimi anni, a partire da quella Banca Etruria che tanto imbarazzò causo al governo Renzi visto il coinvolgimento a livello familiare di Maria Elena Boschi. Il segretario del Pd, tuttavia, in questa partita non può dare le carte. La nomina compete per legge al presidente della Repubblica che emana un decreto, sentiti il presidente del Consiglio e gli altri ministri, in particolare quello dell'Economia. Non a caso Gentiloni ha confermato «fiducia incondizionata» a Visco conseguentemente all'inchiesta della Procura di Roma sulla cessione mancata di Bim, private bank del gruppo Veneto Banca.

Se, dunque, il tandem Quirinale-Palazzo Chigi (con la benedizione del presidente Bce, Mario Draghi) è destinato a far evaporare nel nulla i desiderata renziani, ben diversa è la questione relativa alla commissione parlamentare d'inchiesta sugli scandali bancari. Come ricordato ieri dal capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, «risulta che diversi gruppi parlamentari, a partire dal Pd di Renzi, non abbiano ancora comunicato i propri nomi».

In particolare, osserva l'economista e deputato, «alla Camera mancherebbero le comunicazioni di Pd, Mdp, Ap, Fdi e Misto», mentre al Senato latitano Pd, Ap, Gal e Maie sebbene i presidenti delle Camere, Grasso e Boldrini, abbiano sollecitato i gruppi ad accelerare vista l'imminente scadenza della legislatura. «Non è accettabile che alcuni gruppi, per la gran parte di maggioranza, impediscano l'avvio dei lavori: è un insulto alle istituzioni e a tutti i cittadini italiani», ha concluso Brunetta.

Uno stallo incomprensibile se si considera che le opposizioni cui spetterebbe da prassi la presidenza hanno evitato di porre veti sulla possibilità che sia il Pd a indicare la guida del neonato organismo parlamentare. L'incedere da plantigrado dei piddini è, tutto sommato, spiegabile: la commissione, che nelle intenzioni del Nazareno dovrebbe cannoneggiare Bankitalia, potrebbe trasformarsi in un boomerang indagando su quelle commistioni tra finanza e politica alle quali il Pd non è mai stato alieno. A partire da Mps per finire con la moral suasion (raccontata da Ferruccio de Bortoli) di Maria Elena Boschi su Unicredit per trovare una soluzione alla crisi di Etruria. E in campagna elettorale tutto questo sarebbe sconveniente.

Tanto più che Renzi in un incontro pubblico per la presentazione del suo libro ha annunciato tra il serio e il faceto: «Alle prossime politiche mi candiderò ad Arezzo al Senato. Non l'hanno voluto abolire? E io mi ci candido!».

Una provocazione proprio nella sede storica di Etruria.

Commenti