Politica

La legge ad De Lucam che non indigna il Pd

I giustizialisti dem considerano il codice un elastico da tirare secondo convenienza. Se fosse accaduto a Berlusconi ci sarebbe stata una sollevazione di popolo (rosso)

La legge ad De Lucam che non indigna il Pd

Abbiamo capito che cosa vuole il Pd: una bella legge ad personam che consenta a Vincenzo De Luca di governare la Regione Campania. Non ci sarebbe nulla di male in ciò, se non fosse che il partito della «questione morale» fece a suo tempo (non remoto) il diavolo a quattro, usando la regola Severino, per stecchire Silvio Berlusconi, espellendolo dal Senato per indegnità. Sorprende la faccia di bronzo dei cosiddetti dem. I quali, pur non essendo tutti d'accordo sul punto, propendono in maggioranza a considerare il codice una specie di elastico da tirarsi qua e là secondo convenienza.

Per comprendere il senso della vicenda, bisogna ribaltarla. Mettiamo che il protagonista della storia non fosse De Luca, bensì il Cavaliere. E che questi si fosse candidato alle regionali campane pur condannato in tribunale per abuso d'ufficio. I compagni avrebbero gridato allo scandalo. Intanto, lo avrebbero subito soprannominato appunto Condannato, come usa fare Fabrizio d'Esposito sul Fatto Quotidiano. Dopo di che, avrebbero organizzato una campagna contro il medesimo Condannato, denunciandolo urbi et orbi: costui non può figurare in lista essendo un pregiudicato.

I giornaloni iperdemocratici e iperprogressisti si sarebbero accodati ribadendo il concetto: vade retro, Condannato dei miei stivali. Sarebbe seguita una sollevazione di popolo (rosso) con tanto di manifestazioni pubbliche in piazza Navona a Roma, comizi televisivi, interrogazioni parlamentari, petizioni, appelli firmati da intellettuali tipo Umberto Eco ed Eugenio Scalfari. Un finimondo. Supponiamo che, a onta di simile cancan, il Condannato fosse riuscito a infilarsi in lista e addirittura a essere eletto governatore. Immaginate il casino. Renziani e non renziani del Pd avrebbero coinvolto nella battaglia per cacciare Berlusconi perfino il presidente della Repubblica, sollecitandolo a prendere posizione contro quello da essi ritenuto un attentato alla democrazia, alla Costituzione, al Vangelo secondo Matteo e, naturalmente, alla legge Severino approvata dal Parlamento e, quindi, in vigore. La stessa legge in base alla quale, resa arbitrariamente retroattiva, il Cavaliere fu davvero allontanato a pedate dalle istituzioni.

Verrebbe voglia di domandare a lorsignori: ma la legge non è uguale per tutti? Non siamo tanto ingenui. Un conto è De Luca, uomo di sinistra; un altro è Berlusconi, personaggio squalificato. Cioè a dire: il codice si applica in modo severo con i nemici e in modo indulgente con gli amici. Non esistono dubbi, è così. Questo è quanto si ricava dall'esame dei fatti. Il Cavaliere ha meritato la radiazione perché impresentabile conclamato; il progressista De Luca merita, invece, che sia modificata per lui la Severino o, meglio, sostituita da un provvedimento ad personam (pratica intollerabile se esercitata dalla destra), poiché, pur essendo impresentabile, egli rimane una persona perbene.

Ormai il doppiopesismo è assurto a metodo di valutazione politica e giudiziaria. I reati sono da considerarsi più o meno gravi in base a chi li commette. Il discorso non è chiuso. Il neoeletto governatore della Campania, oltre alla citata condanna, ha altri guai con la giustizia: in primo grado è stato condannato per concussione. Dato che il processo è andato per le lunghe, è intervenuta la prescrizione. Procedimento teoricamente estinto. Nonostante ciò, De Luca, proclamandosi innocente, ha rinunciato alla prescrizione stessa, cosicché presto o tardi si arriverà a sentenza. Sarebbe la prova che siamo di fronte a un amministratore onesto.

Egli tuttavia è ancora in attesa di giudizio, pertanto, paradossalmente, due volte impresentabile. È evidente che non ce l'abbiamo con lui, ci mancherebbe. La sua fama di buon sindaco è fuori discussione. Il presente articolo mira soltanto a sottolineare, speriamo con forza, l'assurdità del moralismo allorché elevato a criterio selettivo per decidere chi possa stare in politica e chi, viceversa, debba sloggiare.

L'artefice del descritto costume (malcostume) è il Pd, il medesimo partito che oggi è vittima di se stesso dopo aver seminato il terreno di altre vittime, ingiustamente sacrificate sull'altare della demagogia strumentale all'eliminazione degli avversari. Se la Severino sarà corretta ad personam per salvare De Luca, Renzi e la sua comitiva fiorentina perderanno la faccia; se il governatore sarà spodestato, perderanno altri voti e torneranno a essere ciò che erano: un partito del piffero con un numero di consensi proporzionale.

Il premier, anziché litigare con Pier Luigi Bersani, doveva affidargli la gestione del Pd sul territorio lontano da Roma: avrebbe evitato figure di palta in Liguria e in Campania.

Bersani di certe cose s'intende, avendo esperienza e intelligenza, se non per smacchiare i giaguari, almeno per non macchiarsi di ridicolo.

Commenti