Cronache

L'errore di chiamarli "schiavisti"

Nel mirino ci sono loro, ma il dramma è che c'è chi paga per fuggire. La soluzione deve partire da lì

L'errore di chiamarli "schiavisti"

E adesso tutti contro gli schiavisti-scafisti. A loro attribuiamo ogni male. Sono gli schiavisti che portano 180mila (dati 2014) clandestini in Italia. Su di loro si deve concentrare la nostra attività penale. A causa loro dobbiamo cambiare i codici e aumentare le pene. Verrebbe da dire: già visto. I grandi commentatori si dicono indignati dai loro comportamenti, i cronisti ci raccontano nel dettaglio la turpe violenza che li contraddistingue. Uno di loro guidava una barca ubriaco e con cannetta in mano. E ha pure speronato un peschereccio causando centinaia di morti. Non siamo certo qui a difendere questi delinquenti. Tali restano. Ci limitiamo, come ha scritto quel simpatico anarco-liberista di Walter Bloch, a difendere l'indifendibile. E arriviamo al punto.

Qualcuno si è chiesto come sia compatibile il concetto di schiavismo con quello di pagamento del viaggio da parte del supposto schiavo? Un etiope (dichiarazione rilasciata alla trasmissione Virus ) ha sborsato 6mila euro per approdare la settimana scorsa a Palermo. Ciò pressappoco corrisponde a otto volte il reddito medio annuo dei suoi concittadini. Insomma una sacco di soldi. Ebbene, si può definire il signore oggetto di schiavismo? Piuttosto sembra un sottoscrittore di un contratto di trasporto illegale. Può essere un azzardo. In termini umani possiamo definirlo un obbrobrio. In termini economici un prezzo eccessivo per il servizio reso. In termini umanitari, l'ultima chance per una minoranza dotata di soldi proveniente da un Paese molto povero di cercarsi un futuro. Lasciamo perdere lo schiavismo. In genere non si paga per diventare schiavi.

Perché occorre mettere le parole al posto giusto? Semplicemente per non farsi ingannare. Il problema non sono i mille delinquenti che hanno portato 180mila migranti in Italia. Ma 180mila migranti disposti a tutto pur di scappare dal proprio Paese. Disposti a morire nella traversata del deserto, disposti a mettersi nelle mani di brutali sconosciuti, disposti a sborsare cifre da capogiro per i loro standard, disposti a mollare affetti a casa, disposti a imbarcare infanti che secondo i nostri parametri non possono neanche salire su una giostra al parco, figurarsi su un barcone. Ciò non vuol dire che gli scafisti non si debbano perseguire. Ovviamente. Ma non è la soluzione. È un po' come dire che il problema sono gli spacciatori e non i drogati.

Ben più utile sarebbe far loro male nel portafoglio. Distruggere, come forse ci si accinge a fare, gli scafi (più che gli scafisti) che usano come traghetti. Fino ad oggi ciò non è avvenuto. Lo ha dichiarato il ministro Alfano due anni fa: perché il loro affondamento viola delle normative ambientali internazionali. Se proprio dobbiamo cambiare qualche codice, facciamolo mettendo mano a queste demenziali normative ambientali.

E poi dici che l'Occidente non ha delle responsabilità.

La principale è la sua inettitudine burocratica.

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