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L'esercito dei sindaci vittime di abuso d'ufficio. "Ho pensato al suicidio"

Da Nord a Sud, a destra e a sinistra, il 90 per cento delle inchieste sugli amministratori è finito nel nulla

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È il reato più odiato dai sindaci, paralizzati dalla paura della firma, infamati da un'indagine o da una condanna che finiscono spesso poi in bolle di sapone. L'abuso d'ufficio è uno dei tanti misteri d'Italia: riscuote un odio trasversale ma resiste da decenni, nonostante abbia già fatto numerosi danni e sia causa di ingolfamento delle procure. Basti pensare che oltre il 90% delle inchieste si chiude con assoluzioni, proscioglimenti o archiviazioni. Le statistiche del 2021 dicono che su 5.400 procedimenti solo nove hanno prodotto una condanna e solo diciotto sono finiti in dibattimento. A pagare il conto, oltre ai contribuenti, sono soprattutto primi cittadini e governatori. Di tutti i colori politici.

Tra i colpiti ci sono governatori famosi come De Luca e Bonaccini o sindaci come Pizzarotti (indagato ben sette volte), ma la stragrande maggioranza fatica a finire sotto i riflettori perché il reato si abbatte sugli amministratori pubblici locali. La mannaia ha investito anche sindaci grillini o del Pd che - una volta prosciolti - si sono rivelati quasi i più acerrimi nemici dell'abuso d'ufficio.

Come Mario Puddu, ex sindaco sardo pentastellato di Assemini costretto a ritirarsi dalla corsa per la Regione Sardegna, condannato in primo grado a un anno di reclusione e poi assolto dopo cinque anni in Cassazione. «Anni di inferno», per usare le sue parole. Sorte simile per Alessandro Ferro, messo sotto inchiesta e poi archiviato mentre era in carica come sindaco 5s di Chioggia. Il sindaco di Arezzo, Alessandro Ghinelli, quando fu assolto nel febbraio 2023 commentò: «Peccato che questa storia mi sia costata cinque anni di problemi, ho dovuto studiare 5mila pagine di atti per rispondere alle contestazioni, sottraendo tempo al mio lavoro di amministratore e ai bisogni dei cittadini».

Nella mole di inchieste aperte negli anni, a volte le accuse sono state paradossali. Il sindaco di Celle Enomondo (Asti), Andrea Bovero, è stato assolto dopo sette anni di processo. L'accusa? Aver corretto un errore materiale relativo a una modifica urbanistica quando invece avrebbe dovuto fare una nuova variante. Errore che in primo grado gli era costato la condanna a otto mesi.

E che dire del sindaco di Lecce Paolo Perrone? Anche lui archiviato dopo 6 anni di inchiesta che lo vedeva accusato di scambio di voti. Due, per la precisione. «Chi fa o ha fatto l'amministratore pubblico sa quanto si sia esposti a un rischio di questo tipo. Che è quello di finire in un'inchiesta e avere per anni una spada di Damocle sulla testa, con pesanti ripercussioni di tipo politico o personale. Nel mio caso, sei lunghi anni. Non è poco e non è giusto, ma tant'è», dichiarerà Perrone con grande amarezza. Claudio Corradino, ex sindaco di Biella, accusato di aver favorito la nomina di un'amica nel Cda di una municipalizzata, ci ha messo «quattro anni di grandi sofferenze, 36mila euro di spese legali oltre alla botta psicologica» prima di vedere la parola assoluzione vicina al proprio cognome.

Per circa sei metri quadrati di suolo pubblico messi a disposizione di un'attività commerciale l'ex sindaco di Noto, Corrado Bonfanti, è stato prima indagato e poi assolto.

Dopo tre anni di indagini e tre di processo l'ex sindaco di Levanto, Ilario Agata, è stato assolto con formula piena. Motivazione? Il fatto non sussiste. Stessa frase per l'ex sindaco di Mazara del Vallo, Nicola Cristaldi, ma anche per l'allora sindaco di Eboli, Massimo Cariello, per il quale, al termine del processo, fu addirittura il pm a chiedere l'assoluzione per mancanza totale di prove. A San Lorenzello (Benevento), l'allora sindaco Antimo Lavorgna, venne processato per delle affissioni pubblicitarie non autorizzate, sì avete letto bene. Assolto dopo sette anni perché il fatto non sussiste. La lista è lunga e potrebbe continuare. Ma chi risarcisce le vittime dalla gogna e dagli anni persi?

«Ho passato giorni difficili, sapevo di aver agito nella legalità, ma temevo che la giustizia avrebbe impiegato molto tempo a scagionarmi. Per fortuna il tutto è durato un anno», dichiarò l'ex sindaco di Piove di Sacco in quota centrosinistra, Davide Gianella, indagato per una firma e un tubo del gas.

L'ex sindaco di Padova del Pd, Sergio Giordani, anche lui finito sotto inchiesta e poi archiviato, è uno di quei politici dem che da tempo chiede una riflessione sul reato in questione.

Come Antonio Decaro, presidente Anci, che tempo fa, dopo essere stato indagato per abuso d'ufficio, confessò: «Ho pensato al suicidio».

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