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L'esordio di un tecnico che dovrà guidare un governo politico

Per giustificare la mossa Di Maio insiste: "Come se avesse avuto 11 milioni di voti"

L'esordio di un tecnico che dovrà guidare un governo politico

Roma - Un'esecuzione «forzata», e magari anche un po' «forzosa», sta diventando la cifra saliente di questa stagione che i Di Maio e i Salvini già battezzano «Terza Repubblica». Non sappiamo se nascerà domani, dopo, o se nascerà davvero, eppure la natura del premier indicato dai contraenti in gialloverde pone seri problemi, e non soltanto di natura istituzionale e giuridica.

Profonda è la sfumatura che differenzia il forzato dal forzoso: forzato è il «fatto o eseguito con forza, in modo cioè non spontaneo, non naturale, non normale, o comunque sforzato» (Treccani); nel concetto di «forzoso» entra invece in ballo l'obbligo, la necessità che determina una scelta. Con l'arrivo di Giuseppe Conte, ordinario di Diritto privato, nonché avvocato civilista specializzato in arbitrati e giustizia amministrativa, la sfera pubblica regolata nella Carta costituzionale viene violata da un virus con effetti sconosciuti, potenzialmente rovinosi. La figura del presidente del Consiglio tratteggiata dall'articolo 95 della Costituzione come il primus inter pares - colui che «dirige la politica generale del governo e ne è responsabile, mantiene l'unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri» - viene totalmente stravolta. Altro che «Conte è politico perché stava nella mia squadra ed è stato votato da 11 milioni di persone», come ha buttato lì Di Maio. Altro che «tutti sono politici, anche voi siete politici», come ha detto ai cronisti Salvini al Quirinale. Semmai Conte dovesse varcare il portone di Palazzo Chigi, sarebbe sulla scorta di un «pacchetto» preconfezionato da altri: programma, ministri, equilibri politici. Non è il suo essere stato finora del tutto alieno dall'attività politica e dalla vita di partito il dato più importante (magari persino una qualità, visti i tempi), quanto piuttosto il suo ruolo «privatistico» di conciliatore e arbitro a rappresentare un ircocervo mai visto sulla scena pubblica. Salvini e Di Maio possono girarla e voltarla come a loro pare, la frittata resta uguale. Conte rimarrebbe un «professionista a contratto» - valente quanto si vuole - chiamato a una funzione impropria: dirimere i contrasti tra due forze politiche che vogliono restare «distinte e distanti» (lo si è ben visto anche ieri), e che affidano la convivenza al fragile strumento privato di un «contratto», appunto, che nessun notaio serio potrebbe vidimare, considerata la materia e la natura naturalmente generica degli impegni e delle obbligazioni assunte da ciascuno dei contraenti. Precedente clamoroso di una privatizzazione della sfera politica riscontrabile nel Movimento 5 Stelle, del cui «marchio» chiunque ha potuto fregiarsi in passato, sottoscrivendo degli impegni privati con i depositari del brand (Grillo e Casaleggio), e molti sono stati scippati quando hanno contravvenuto a regole (discrezionali e fumose) imposte dai depositari del marchio. Così anche Di Maio sembra essere mero esecutore delle decisioni assunte altrove (Casaleggio Associati, Fondazione Rousseau o, semplicemente, casa Grillo). È ancora politica, questa? Ancora democrazia? Un premier «irresponsabile» dal punto di vista politico, visto che la politica la fanno Salvini e Di Maio, può essere tollerato dal sistema? Sono solo alcuni dei quesiti che al Quirinale si pongono in queste ore.

Un rallentamento forzato e forzoso, eppure ineludibile, alla corsa di due contraenti così frettolosi.

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