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L'euroscandalo dei rimborsi arma contro gli euroscettici

Nell'Ue degli sprechi un'inchiesta mirata anti Le Pen e Farage. Quando nel 2004 Napolitano gonfiò il prezzo dei biglietti aerei

L'euroscandalo dei rimborsi arma contro gli euroscettici

L'ultimo salvagente di un'Europa minacciata di scomparsa all'alba dei suoi primi 60 anni si chiama «rimborsopoli». Lo scandalo scoperto dall'Olaf - l'ufficio antifrode dell'Unione chiama in causa soprattutto quei partiti «euroscettici» e «populisti» accusati di minare le fondamenta dell'Unione. E così a meno di un mese e mezzo da quelle presidenziali francesi in cui la grande favorita è Marine Le Pen scopriamo, guarda caso, che i veri furfanti si annidano tra le fila del suo Fronte Nazionale. Un Fronte accusato di piazzare sui libri paga dell'Europarlamento molti funzionari impiegati non a Bruxelles, ma a Parigi e dintorni. Una forzatura imposta, ma l'inchiesta non lo dice, da un finanziamento pubblico che in Francia garantisce congrui versamenti solo ai partiti tradizionali spingendo il Fronte ad utilizzare in maniera impropria i fondi europei. Ma nella lista dei grandi inquisiti spiccano anche altri retrivi «populisti» come l'Ukip inglese di Nigel Farage o il partito «Diritto e giustizia» del polacco Jaroslaw Kaczynski.

Nel settore italiano compaiono invece le europarlamentari Daniela Aiuto e Laura Agea dei Cinque Stelle, l'attuale viceministro Riccardo Nencini e il deputato eletto con il Pd, ora Mdp, Antonio Panzeri. Il nome più conosciuto è però quello di Laura Comi l'eurodeputato di Forza Italia da cui Bruxelles pretende la restituzione di 126mila euro versati alla madre Laura Costa assunta come assistente parlamentare dal 2009 al 2010. Un rigore ben lontano da quello del 2004 quando l'allora deputato europeo Giorgio Napolitano si fece rimborsare a tariffa piena dei biglietti aerei per Bruxelles il cui valore reale era un decimo di quello riconosciutogli. Per non parlare dell'ex presidente del Parlamento George Schultz trasformatosi in grande fustigatore dei furfanti euroscettici dopo esser stato sorpreso, solo tre anni fa, a piazzare all'Europarlamento i membri del suo ufficio politico. Le finalità puramente politiche dell'inchiesta sono, del resto, chiare. Il vero obbiettivo di una Ue abituata a scialare 200 milioni di euro all'anno solo per garantire la semestrale transumanza di deputati da Strasburgo a Bruxelles non è far pulizia, ma fermare la temuta ondata populista. Un'ondata che dopo aver sommerso il Regno Unito sotto i flutti della Brexit minaccia di divorare una Francia dove, stando ai sondaggi, un elettore su tre condivide il programma della Le Pen. E così alla povera Europea non resta che il salvagente delle inchieste. Ma è un salvagente assai precario perché proprio gli scandali degli «euroburocrati» sono all'origine della loro pessima reputazione. A partire dal 1999 quando l'intera Commissione del lussemburghese Jacques Santer viene accusata di corruzione e costretta alle dimissioni. Poi poco cambia. Nel 2006 arriva un rapporto Galvin sugli scandali interni talmente infamante da spingere l'Europarlamento a segretarlo definitivamente. Meno segreti sono invece i giochini dell'attuale presidente Jean-Claude Juncker accusato di aver trasformato il Granducato lussemburghese nel paradiso delle multinazionali impegnate ad eludere il fisco. Ma quella è acqua passata.

Fino al voto di Parigi gli unici furfanti resteranno solo euroscettici e populisti.

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