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La linea di Mattarella: se il Parlamento lavora niente voto anticipato

Il Colle punta alla scadenza naturale della legislatura. Ma solo se le Camere legiferano

La linea di Mattarella: se il Parlamento lavora niente voto anticipato

Al Quirinale si giura e spergiura che sia stata una semplice «toppa» in un momento delicato, qualcosa di già visto mille volte, in linea con i poteri di suasion previsti dalla Costituzione per il capo dello Stato. Arbitro silente, magari persino dolente, quando il sistema funziona; artefice espanso della vicenda politica laddove si producano strappi, lacerazioni, fasi di stallo. Ne sappiamo qualcosa, nel recente passato, basti ricordare Scalfaro o Napolitano: dalla padella alla brace.

Per Sergio Mattarella non sarà così, non c'è nulla di «programmato», non c'è da attendersi la trasformazione da dottor Jeckill a Mister Hide, da «maestro dell'ovvio», come un ritratto giornalistico lo raffigurava qualche settimana fa, a Picconatore (anzi Mattarello contundente). Però quel comunicato del tutto inusuale - anzi, per meglio dire, mai visto, nella forma e nella sostanza, in tutta la storia repubblicana - sembra proprio uno spartiacque nel settennato, un preludio a ciò che (forse) ci aspetta. Gli «ambienti» del Quirinale che fanno «trapelare» il «grande apprezzamento» del presidente per il ministro Minniti e per i suoi atti, opere e omissioni. Il garante della Carta che «blinda» un governo e non lo fa con telefonate persuasive, o attraverso atti ufficiali, o interviste sottili (del genere: chi deve capire capisca). No. Entra a gambe unite nel gioco del potere esecutivo, concede ossigeno al governo sfiatato. Magari ricorderemo il 7 agosto 2017 alla maniera del 26 giugno '90, quando Francesco Cossiga in una telefonata dal tono intimidatorio al suo amico Miglio cominciò a sconfinare su Bossi prima di imbracciare il Piccone (alla fine di quell'anno, con la mina Gladio innescata da Andreotti, ci sarebbe stata la deflagrazione del compianto Signor K).

Così «Sergio il Tenace», «Sergiuzzu il Calmo» - come lo descriveva agli inizi della carriera nella Dc Giampaolo Pansa, chiedendosi «come reggerà fra i carriaggi, le truppe, le grandi armate, i compromessi di potere, i pateracchi, i cinismi, le piccole viltà» -, nella ripresa autunnale si troverà a fronteggiare altre emergenze, economiche e non solo, «e guarda a quel momento già con terrore». Però ha dimostrato di saper impugnare il bastone, quando occorre, quando è ultima ratio per garantire al Paese stabilità e quel minimo garantito di serenità (non in senso renziano, ovvio). Trattenere Minniti sull'uscio è l'anticipazione di prove ben più impegnative, con uno scioglimento che il presidente spera sempre naturale, ma che non è detto non possa verificarsi tra fine dicembre o gennaio. Perché se vedesse un Parlamento in panne o imbolsito, che non riesce a produrre neppure l'armonizzazione richiesta sui due sistemi di voto configurati dalle sentenze della Consulta, non esiterebbe a mandare tutti a casa. Altrimenti, finché c'è lavoro parlamentare che avanza, perché interrompere tale magic moment?

Questo è lo scacchiere che Mattarella ha cominciato a predisporre nei suoi primi giorni di vacanza palermitana (era lì quando si è sfiorata la crisi) e che perfezionerà nei boschi di Dobbiaco. Conscio che si tratta di una partita davvero intricatissima, il cui finale - il voto - rischierà di non mettere per nulla la parola fine. Con un Parlamento privo di maggioranza, o con soluzioni avventurose o traballanti, statene certi, si rivedrà il nuovo Mattarella.

Magari persino da declinare con la «o» finale.

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