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L'Isis vuole colpirci dal cielo. Droni con bombe chimiche

L'allarme parte dall'intelligence francese. Un esperto conferma: i velivoli vengono costruiti a poco costo

L'Isis vuole colpirci dal cielo. Droni con bombe chimiche

Immaginate il ronzio di un drone in volo sui tetti di un centro urbano. A prima vista può sembrare non diverso da quello utilizzato dai fotografi o a qualche appassionato di aeromodellismo. Ma all'improvviso da quel velivolo senza pilota si stacca una granata che esplode in una nuvola biancastra ed invade strade, negozi ed appartamenti. Per ora quella di un drone dell'Isis armato di ordigni chimici è solo un'ipotesi, ma come molte ipotesi anche il nuovo incubo dei servizi di sicurezza europei si basa su dati reali e su accertamenti ben precisi. Il primo allarme si diffonde non appena i servizi di sicurezza francesi terminano l'analisi degli appunti contenuti nel computer di Salah Abdeslam, il capo del commando terrorista responsabile delle stragi di Parigi del 13 novembre 2015. Tra i vari attentati ancora in fase progettuale quello più inquietante esaminato dagli inquirenti d'Oltralpe prevede l'utilizzo di ordigni chimici montati sulla pancia di velivoli telecomandati. Non appena i responsabili della sicurezza francese condividono il rapporto con i colleghi europei negli ambienti dell'intelligence si diffonde un allarme tanto vasto quanto generalizzato. Alla base di tanta preoccupazione c'è la consapevolezza di come Stato Islamico stia lavorando da anni allo sviluppo di entrambe le tecnologie. Le armi chimiche sono un vecchio pallino dei jihadisti e i primi tentativi di utilizzarle o inserirle in un' ordigno sparabile con mortai o lancia-razzi risalgono ai tempi del regime talebano in Afghanistan. L'Isis però ha un vantaggio. A differenza delle altre organizzazioni terroristiche è stato in grado di mettere a segno un notevole salto di qualità utilizzando personale competente e lavorando su alcuni quantitativi di armi chimiche arrivate in Siria dopo le razzie degli arsenali libici di Gheddafi. Studiando quei campioni e utilizzando anche qualche rimanenza irachena del tempo di Saddam Hussein i suoi esperti sono riusciti non solo a produrre notevoli quantità di iprite e di clorina, ma anche ad inserirle nelle granate di mortaio. Non a caso - secondo una recente ricerca di «Ihs Monitor», un centro studi inglese specializzato in intelligence militare - una parte di quei prodotti sono già stati utilizzati sul fronte siriano ed iracheno nel corso degli almeno 52 attacchi, in cui lo Stato islamico ha impiegato, dopo il 2014, ordigni a base di clorina ed iprite.

Secondo le analisi di molte intelligence occidentali l'obbiettivo finale dei capi militari del Califfato è riuscire a montare quegli ordigni sulla pancia dei droni già ampiamente utilizzati sul fronte iracheno e siriano. Dopo averli impiegati inizialmente per filmare le operazioni delle autobombe portate sul bersaglio dai loro kamikaze l'Isis ha incominciato a utilizzare i velivoli senza pilota per sganciare granate da 40 millimetri sulla testa del nemico. Chi scrive ha visto di persona, alla fine dello scorso novembre, l'abbattimento di un drone impiegato dallo Stato Islamico per colpire le milizie sciite lanciate all'attacco delle postazioni dell'Isis sul fronte iracheno di Tal Afar. Anche in quel caso i resti del velivolo abbattuto sono stati esaminati con estrema attenzione dai tecnici dei servizi di sicurezza occidentali impegnati a valutare la possibilità che un ordigno chimico sganciato da un drone provochi una strage nel cuore di una metropoli europea.

Una possibilità né irreale, né remota perché - come spiegava a «Il Giornale» un esperto dell'intelligence occidentali impegnato proprio a valutare quella minaccia - «i droni vengono costruiti artigianalmente impiegando polistirolo e componenti cinesi di poco costo mentre la clorina o l'iprite possono facilmente venir contrabbandate in Europa passando dalla Turchia».

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