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Macron ci "ruba" la Libia. Ma le sue mosse sono tutte un fallimento

Sgambetti, stilettate, colpi bassi. L'ultima è l'idea degli hotspot francesi: già smentiti a stretto giro

Macron ci "ruba" la Libia. Ma le sue mosse sono tutte un fallimento

Ora è chiaro, l'Italia e la Francia di Emmanuel Macron stanno combattendo una vera guerra per il controllo della Libia. Ma a differenza di quanto sembrava il nostro governo non è affatto in ritirata. Anzi l'esecutivo di Paolo Gentiloni - grazie alle strategie del ministro degli Interni Marco Minniti - non solo risponde all'offensiva del presidente francese, ma riesce anche prevenirne le mosse. E a vanificarle. Insomma costringe Macron a esibirsi in spettacolari assalti all'arma bianca che però si rivelano strategicamente inconcludenti.

Tra questi la promessa, lanciata ieri mattina, di aprire «entro questa estate» una serie di «hotspot» in territorio libico. Gestire insomma dei centri di accoglienza, difesi, ça va sans dire, da un corpo di spedizione francese, dove selezionare i migranti e dividere quelli a cui spetta il diritto d'asilo in Europa a quelli irregolari condannati al rientro nei paesi d'origine.

Una proposta pensata espressamente per vanificare la missione navale in acque libiche annunciata dall'Italia visto che il rastrellamento e la segregazione dei migranti nei centri controllati dalle truppe francesi ne bloccherebbe l'arrivo sulle coste rendendo inutili le operazioni della nostra Marina Militare. Ma come ammettono da ieri pomeriggio le stesse fonti dell'Eliseo, il progetto è in verità un bluff. Un bluff smascherato dallo scetticismo di politici, diplomatici e generali d'oltralpe sconvolti dalla faciloneria di un Macron convinto di poter ottenere da Tripoli e Tobruk il via libera a una missione militare sui propri territori.

Quel rigurgito di grandeur fa però capire che il vero pomo della discordia è il via libera del premier Fayez al Serraj alla missione italiana in acque libiche. Un pomo della discordia maturato la scorsa settimana quando Minniti è riuscito a far digerire la missione italiana ai capi tribù riuniti a Tripoli. Il sì delle tribù rappresentava l'indispensabile salvagente promesso a un Serraj timoroso di ritrovarsi defenestrato per mano dei capi milizia collusi con i trafficanti. Proprio quell'intesa, subito segnalata dall'intelligence francese, ha innescato la prima reazione di un Macron deciso ad allargare la sua sfera d'influenza oltre i confini di quella Cirenaica dove Parigi opera al fianco di Haftar. L'invito a Parigi e l'offerta a Fayez al Serraj di un accordo di pace - in cui rientra un implicito patto di protezione in grado di metterlo al riparo non solo da Khalifa Haftar, ma anche dalle altre milizie - rappresentava, nell'ottica dell'Eliseo, la via migliore per mettere un piede nella trincea italiana di Tripoli.

Ma l'inattesa tappa romana di Serraj in cui è stata ufficializzata la richiesta d'intervento consegnata a Roma già domenica scorsa (quindi con 48 ore di anticipo sul vertice parigino) ha fatto capire a Macron che a Tripoli non c'era trippa per gatti. E così ieri la doppia debacle ha costretto il presidente francese ad accettare l'onta di una telefonata con Gentiloni sicuramente «rasserenante», ma indicativa della precedente burrasca. Le tensioni con Parigi fanno anche comprendere perché il governo abbia deciso di lanciare una missione tutta italiana anziché affidarsi ad «Eunavfor Med» la missione europea progettata proprio per colpire i trafficanti di uomini all'interno delle acque e del territorio libico. Affidandosi a una missione a cui partecipa anche la Francia (negli ultimi due anni ha messo a disposizione 7 unità navali) saremmo stati inevitabilmente soggetti agli sgambetti e alle stilettate di un Macron che in Europa ha molto più potere di noi. Dunque proprio per questo Gentiloni e Minniti hanno preferito esporsi al rischio di un passaggio parlamentare. Un passaggio parlamentare dove il nodo principale sarà far ingoiare a molti deputati del Pd e alla sinistra delle regole d'ingaggio che assomigliano molto ai respingimenti adottati nel 2010 da Berlusconi e Gheddafi.

E ancor più difficile sarà spiegare quali siano le garanzie formali per i migranti riconsegnati con l'ausilio della nostra Marina alle autorità di Tripoli.

Anche perché la Libia non ha mai firmato la convenzione di Ginevra sui rifugiati.

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