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Macron "colonizza" la Libia Gentiloni umiliato ancora

Il premier Serraj e il generale Haftar si impegnano per il cessate il fuoco e per le elezioni in primavera

Macron "colonizza" la Libia Gentiloni umiliato ancora

Da nostra «quarta sponda» a prima colonia del novello Emmanuel «Napoleon» Macron. Eh sì, dopo lo «schiaffo di Tunisi» con cui nel 1881 - la Francia dirottò le nostre mire coloniali dalla florida Tunisia all'allora indigente Tripolitania arriva anche lo «sganassone di Tripoli». Ma a differenza di Jules Ferry, premier francese dell'epoca, Macron non dovrà neppure usar la forza. Per tentar di strappare la Libia ad un Gentiloni novello Cairoli gli è bastato convocare nel castello di Celle-Saint-Cloud, non lontano da Versailles, i due grandi rivali del caos libico, ovvero il premier di Tripoli Fayez al Serraj e il generale Khalifa Haftar, capo di stato maggiore dell'esercito che fa capo al governo di Tobruk.

Nelle stanze dell'avito maniero proprietà del ministero degli Esteri francese i due rivali hanno ieri incontrato separatamente il Presidente e si sono detti pronti a sottoscrivere un documento in dieci punti che prevede il cessate il fuoco e l'impegno ad organizzare quanto prima lo svolgimento di regolari elezioni. Certo un accordo firmato da due libici vale, di solito, quanto un «flatus vocis» nel fragore di una tempesta. Il vantaggio del novello Napoleone è però quello di poter offrire ad entrambi i contendenti un ruolo a cui da soli non potrebbero mai ambire. Khalifa Haftar, pur possedendo quel che più somiglia ad un autentico esercito sa che da solo non potrebbe mai imporsi sulle milizie di Misurata e Tripoli. E sa anche che l'amicizia di Parigi, a differenza di quella preziosa, ma poco spendibile di Mosca e del Cairo, può garantirgli una discreta legittimità internazionale. Il premier di Tripoli Fayez Al Serraj ha, invece, il problema opposto. Messo sullo scranno di Tripoli dalle Nazioni Unite con il consenso della comunità internazionale possiede una teorica legittimità vanificata da una assoluta mancanza di autorità. Inserendosi in questa contraddizione Macron promette a Khalifa Haftar il riconoscimento del suo ruolo di uomo forte del paese e regala a Fayez Al Serraj l'assicurazione di poter continuare a fregiarsi del titolo di premier. Insomma garantisce all'inetto e irrilevante primo ministro di arrivare alle elezioni mettendolo al sicuro, fino ad allora, sia dalle intemperanze di Haftar, sia da quelle delle milizie islamiste di Misurata e Tripoli pronte a metterlo alla porta qualora tentasse di esercitare il proprio potere.

A godersela tra i due litiganti sarà ovviamente solo Macron deciso a sfruttare il suo ruolo di ago della bilancia per scippare all'Italia il ruolo d'interlocutore privilegiato di Tripoli e accaparrarsi nuove guarentigie nel campo delle concessioni petrolifere e della presenza militare. Certo l'umiliante sganassone rifilato da Macron Napoleon al novello «Cairoli» Gentiloni è anche la cartina di tornasole dell'irrilevanza dei governi del Pd rispetto a quelli di Silvio Berlusconi. Per capirlo basta ricordare come il governo dell'allora Cavaliere, seppur isolato a livello internazionale e costretto dall'asse NapolitanoSarkozy-Nato a combattere una guerra contraria ai nostri interessi, ribaltò la partita mandando i nostri servizi segreti e l'allora capo dell'Eni Paolo Scaroni a trattare nuove relazioni con il Consiglio Nazionale di Transizione appena insediatosi a Bengasi.

In virtù di quella trattativa spregiudicata, durante la quale Berlusconi non dimenticò mai di cercar garantire una via d'uscita anche per l' «amico» Gheddafi, l'Italia beffò la Francia di Sarkozy e mantenne la sua posizione di «primus inter pares» nell'ambito dei rapporti internazionali con Tripoli. Una posizione comodamente ereditata dai governi Monti, Letta e Renzi.

Con la differenza che quest'ultimo ha fatto di tutto per dilapidarla prima restando a guardare mentre la Libia veniva trascinata nel caos dalle milizie islamiste, con la moltiplicazione dei flussi migratori verso le nostre coste, e poi accettando di puntare tutto sull'irrilevante Serraj arrivando a osteggiare apertamente sia Haftar sia i suoi alleati. E così ora, grazie agli errori e all'inadeguatezza dell'esecutivo Renzi, l'Italia rischia di perdere non solo il petrolio, ma anche la possibilità di esercitare qualsivoglia influenza su quelle coste libiche da cui parte l'invasione dei migranti.

Mentre al povero «Cairoli» Gentiloni non resta altro che porgere l'altra guancia.

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