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Magistrato choc: doveva essere assolto ma andrà in cella

Un disastro processuale porta alla condanna di un padre accusato di abusi mai certificati

Magistrato choc: doveva essere assolto ma andrà in cella

Un imputato con una condanna pesantissima sulle spalle. Un autorevole giudice di cassazione. Un pediatra che non si accontenta delle verità di comodo. L'imponderabile: Vittorio Vezzetti porta il caso dell'imprenditore, a un passo dalla galera per violenza sulla figlioletta di due anni, a un convegno e a sorpresa, Claudia Squassoni, presidente del collegio che ha emesso quella sentenza pesantissima, apre alle tesi innocentiste dell'esperto: «Se nel ricorso in Cassazione fossero state fatte le eccezioni che ha fatto il dottore, naturalmente avrebbero avuto un risultato diverso».

Testuale. Tradotto nel linguaggio comune, questo significa che Giovanni, nome di fantasia, è innocente anche se gli è stata data una pena di sette anni e mezzo di carcere. Di più: il verdetto non è ancora definitivo solo perché la Cassazione ha rinviato le carte alla corte d'appello di Milano. Attenzione: non per valutare ancora la colpevolezza dell'imputato, ormai irrevocabile, ma solo per bilanciare il rapporto fra aggravanti e attenuanti. Per la cronaca, i giudici di rito ambrosiano hanno confermato alla virgola la precedente sentenza e hanno rispedito il faldone a Roma, dove l'ultimo passaggio in Cassazione è previsto per il 7 dicembre. Poi per Giovanni, imprenditore della ristorazione attivo nel Nord Italia, dovrebbero aprirsi le porte della cella.

Ora però il caso acquista una luce diversa, sulla base delle parole pronunciate dal giudice Squassoni all'università di Milano Bicocca lo scorso 14 ottobre. Il magistrato è relatore in un affollato parterre che deve discutere di un tema apparentemente molto tecnico: ctu e perizia nella scissione della coppia. Relazioni su relazioni, nomi importanti che dibattono sul tema. Ma questa volta c'è un fuoriprogramma: Vezzetti racconta proprio la storia di Giovanni, descrivendola come uno scempio giudiziario. Un disastro processuale che ha provocato la condanna di un padre che non aveva mai torto un capello alla sua bambina. Il giudice Squassoni esce dalla sala durante quell'intervento così critico, poi rientra ma decide di non tacere. Anzi: sembra valorizzare l'intervento e quasi giustifica quella condanna che evidentemente le pesa: «Ero il presidente...tutto quello che ha detto il dottore è esattissimo, ma voi dovete tenere conto, come dicevo, dei limiti di cognizione della Corte di cassazione». Che vuol dire? Il magistrato dettaglia: «La cassazione non è giudice di terza istanza, cioè può soltanto esaminare se la motivazione dei giudici di merito è infondata manifestamente, o illogica manifestamente e poi deve giudicare avendo soltanto come referente i motivi di ricorso in Cassazione».

Può sembrare una scappatoia giuridica, ma certo a nessuno può sfuggire il senso di quella comunicazione: il processo è arrivato così, i giudici dovevano attenersi alle carte e semmai studiare i motivi della difesa che però non avrebbero avuto la stessa efficacia delle rasoiate vibrate da Vezzetti alla Bicocca. Lui replica pronto: «Il processo è nato male in primo e secondo grado».

In effetti l'imprenditore è stato condannato sulla base delle dichiarazioni de relato della piccola vittima. In sostanza i giudici si sono fidati di quanto riportato in aula dall'ex moglie e dalla nonna materna, entrambe in rapporti tesissimi con l'imputato. La bambina, che all'epoca dei presunti abusi aveva due anni, non ha mai confermato in aula quei racconti e nessuna perizia medica ha certificato i presunti abusi.

L'imprenditore si difende sostenendo che le violenze, davvero raccapriccianti e ripugnanti, non ci sono mai state, ma ci sarebbero solo le calunnie delle due donne. Non gli hanno creduto, anche se quella denuncia è l'unica in una vita normalissima. Ora Squassoni sembra prendere le distanze dalla tela processuale: «Noi non possiamo riesaminare le prove secondo il nostro giudizio, noi dobbiamo esaminare le prove secondo il giudizio dei giudici di merito».

E questo spiega una condanna che stride ogni giorno di più.

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