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Di Maio spegne il forno Pd: mai con voi

Il grillino risponde alle avances di Franceschini e copre d'insulti i dem

Di Maio spegne il forno Pd: mai con voi

Mai col Pd: Gigino Di Maio chiude la porta in faccia alle ipotesi di maggioranze alternative e di governo Conte bis.

A fornirgli il destro è un'uscita a sorpresa dell'ex segretario Pd ed ex ministro Dario Franceschini: intervistato dal Corriere, spiega che «è un errore mettere sullo stesso piano Lega e Cinque stelle», che con i grillini ci sono «valori comuni», e che con loro bisogna costruire un'alleanza modello «arco costituzionale» che escluda la Lega. La risposta del vicepremier grillino è un pernacchione: noi, spiega Gigino, «siamo orgogliosamente diversi» dal Pd, sul quale viene vomitata una sequela di insulti: «partito di Bibbiano», che si è «svenduto all'Europa», ha fatto «politiche d'austerità che hanno prodotto povertà e disoccupazione» e che - orrore - «critica il reddito di cittadinanza». Una rassicurazione assoluta all'alleato leghista da parte di Di Maio, che del resto sul connubio con la Lega, voluto fin da prima delle elezioni politiche dalla Casaleggio, ha puntato tutte le sue fiches. E dunque ha ogni interesse a smentire i retroscena che avallano sempre più insistentemente l'ipotesi di una nuova maggioranza con Conte ma senza la Lega, per evitare le elezioni ed eleggere il nuovo capo dello Stato nel 2022.

La mossa di Franceschini, spiegano al Nazareno, doveva servire a «dividere i Cinque stelle sul rapporto con Salvini», alla vigilia dell'informativa parlamentare di Conte sul Russiagate, e ad entrare come un coltello nel burro dentro le presunte contraddizioni tra grillini «buoni» (Conte, Fico, magari persino Dibba) e grillini cattivi affezionati al capo leghista, dando così un duro colpo alla maggioranza. Siccome però raramente le ciambelle Pd riescono col buco, la mossa è servita per ora solo a dividere i dem, entrando come un coltello nel burro dentro le spaccature politiche (e umane) sempre più profonde nel partito di Nicola Zingaretti. E a fornire a Di Maio, su un piatto d'argento, l'occasione per chiudere il presunto forno dem. Nel Pd si scatena il pandemonio: Zingaretti prima prende le distanze («Nessun governo con il M5s è alle porte o è obiettivo del Pd»), poi però dà ragione a Franceschini sulla necessità di «divaricare due elettorati che sono diversi, quello leghista e quello grillino».

Matteo Renzi attacca a testa bassa Franceschini («Uno che ha perso anche nel suo collegio») e condanna le sue aperture: «Non siamo stati noi a mettere insieme Lega e Cinque stelle: sono loro che sono due facce della stessa medaglia, populista e giustizialista a senso unico. Difendere i nostri valori con Toninelli, Di Maio e la Lezzi? Non in mio nome». E conclude: «Il godimento nel prendere schiaffi - addirittura da uno come Di Maio - non si chiama politica, si chiama masochismo». Poi l'ex premier annuncia che sarà lui a parlare, domani in Senato, contro Salvini sul Russiagate: una decisione che scatenerà ulteriori polemiche nell'assemblea dei senatori Pd che si terrà oggi.

Piero Fassino e Luigi Zanda difendono Franceschini: «Gli atti di Salvini stanno creando crescente disagio in tanti parlamentari, dirigenti e militanti di M5s. Bisogna cogliere questa situazione e mettere in campo un'iniziativa», dice l'ex sindaco di Torino.

Il capogruppo renziano Marcucci replica: «Quale valore condiviso dovrebbe avvicinarci al M5s? Il rifiuto dei vaccini? il voto in Europa come Orban? E chi sarebbero, secondo Franceschini, i novelli padri della patria? Casaleggio? Di Maio? O forse Toninelli?».

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