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Le mani (e un miliardo di euro) sul porto di Trieste

Maxi investimento di Pechino sullo scalo che potrebbe fare da snodo tra il Pireo e Zeebrugge

Le mani (e un miliardo di euro) sul porto di Trieste

Per capire quale fetta della torta italiana faccia gola ai lungimiranti cinesi saltate pure i primi tre quarti della mielosa lettera a firma di Xi Jinping con cui il presidente cinese spiegava, ieri, sul Corriere della Sera cosa lo spinga a far affari con il nostro paese. Il succo è tutto nelle tre righe in cui parla di «interconnessione e connettività propria dell'iniziativa Nuova Via della Seta ai progetti italiani di costruzione dei porti del Nord». Per capire dove vada a parare Pechino basta aprire una cartina e cercare Trieste, il porto del Nord-Est dove la compagnia di stato cinese Cosco, gigante mondiale dei container, è pronta a investire un miliardo di euro. Come al tempo degli Asburgo, quando vi facevano scalo le merci in movimento dal regno Ottomano verso il centro e il nord dell'Europa, lo scalo si ritrova a giocare un ruolo fondamentale nell'ambito del risiko cinese rivolto al controllo delle rotte del Mediterraneo e all'accerchiamento del Vecchio Continente.

Per capirlo bisogna posizionare sulla carta geografica anche il porto greco del Pireo e Zeebrugge, un piccolo scalo belga sul Mare del Nord. Il Porto del Pireo è passato nelle mani della Cina nel 2010. Al tempo la Cosco lo comprò per un tozzo di pane sotto gli occhi di un'Europa distratta e di una Merkel interessata soltanto a recuperare i soldi delle grandi banche invischiate nella crisi greca. Oggi la Cosco ha il totale controllo dei suoi terminal da cui muove ogni anno 20 milioni di passeggeri. Zeebrugge, piccolo ma strategico porto sulle coste settentrionali europee, è passato in mani cinesi nell'ambito delle acquisizioni che hanno permesso a Pechino di entrare in altri porti europei come Vado Ligure in Italia, Valencia e Bilbao in Spagna, Marsiglia in Francia, Rotterdam in Olanda e appunto Zeebrugge e Anversa in Belgio. Per completare lo schema della penetrazione cinese bisogna aggiungerci il 16+1, una poco conosciuta intesa commerciale attraverso cui Pechino lega a se 12 membri dell'Unione Europea (Bulgaria, Croazia, Estonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Macedonia, Romania, Slovacchia, Slovenia) e 4 Paesi extra Ue come Albania, Bosnia, Serbia e Montenegro. Nell'ambito del 16+1 l'Export Import Bank Of China finanzia un network ferroviario - concordato con Ungheria e Serbia - destinato a collegare il Pireo a Budapest e Belgrado. In questo schema geo-politico- commerciale il tassello che manca è Trieste. Oggi il suo porto è solo all'11° posto delle classifiche europee per movimento merci. E benché il movimento container sia aumentato del 150 per cento il traffico resta un quinto di quello del Pireo. A far gola ai cinesi sono però le sue acque profonde, le uniche dell'Alto Adriatico dove far ormeggiare navi commerciali di grandi dimensioni e la rete ferroviaria già collegata ai suoi terminali. Per non parlare del suo status di porto franco che consente il fermo merci senza tasse. Per queste specificità Trieste è agli occhi degli strateghi di Pechino il candidato ideale a far da snodo tra Zeebrugge, l'Est Europa e il Pireo. Anche perché mentre il Pireo servirà a muovere verso il sud e l'est dell'Europa le merci provenienti dal Canale di Suez quello di Trieste sarà l'unico capace di fornire collegamenti ferroviari e snodi in grado di raggiungere l'Europa settentrionale. Per questo i cinesi della Cosco sono pronti ad investire oltre un miliardo nell'espansione e nella modernizzazione dell'aerea del porto franco, dell'area industriale e del sistema ferroviario interno. Fondi che fino ad oggi nessun investitore nazionale si è sognato di garantire. Anche perché dopo la caduta dell'impero asburgico nessun investitore aveva mai puntato al totale controllo delle linee commerciali che da Suez portano all'est e al nord Europa.

GMic

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