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La "manina" americana dietro il manifesto giallo

Toni «grilloleghisti» nella Carta dei rivoltosi in gilet. E Trump e Bannon la sottoscrivono

La "manina" americana dietro il manifesto giallo

Quante e quali sono le mani che hanno scritto il misterioso manifesto denominato «Carta ufficiale dei gilet gialli»? Una specie di programma politico antisistema che mette insieme parole d'ordine di stampo grillino con punti classici dell'agenda leghista. Ma se italiane sono le mani che hanno fornito l'ispirazione, americane sono quelle che cercano di mettere sopra al movimento che oltre il 70% dei francesi dichiarano di apprezzare il classico cappello: e non sono mani qualsiasi, perché stiamo parlando addirittura del presidente Donald Trump e del suo ideologo rinnegato (ma chi ci crede...) Steve Bannon.

Nessuno ha messo la sua firma sotto il documento che ha preso a circolare sulla Rete da alcuni giorni e che rappresenta una mutazione completa rispetto a un movimento apparentemente spontaneo che era cominciato per iniziativa di una manciata di privati cittadini esasperati della Francia profonda che chiedevano lo stop degli aumenti del carburante. Qui siamo di fronte a una sfida frontale al potere del presidente Emmanuel Macron, articolata in ben 25 punti definiti «proposizioni per uscire dalla crisi», presentati sotto quattro capitoli: Economia e Lavoro, Politica, Sanità e Ambiente, Geopolitica.

È il programma politico di un movimento populista e sovranista, dove si mescolano richiami al progetto originario di basso profilo («ritiro degli autovelox dalle strade») con inquietanti scopiazzature del peggio del programma dei cinquestelle («fine dei monopoli dei media e dei finanziamenti pubblici ai giornali», «aumenti di salario minimo, pensioni e minimi sociali del 40%», «diminuire l'influenza dei laboratori farmaceutici»), e si sparano proposte populiste e assistenzialiste («vietare per legge tasse ai cittadini superiori al 25%», «assunzioni massicce di funzionari per ristabilire la qualità di stazioni, poste, scuole e ospedali», «costruire 5 milioni di case popolari», «annullare il debito», «niente migranti se non si può accogliere») fino a chiedere la demolizione dei pilastri della struttura dello Stato e della collocazione internazionale della Francia («riscrivere la Costituzione nell'interesse del popolo sovrano e introdurre il referendum di iniziativa popolare», «uscire dall'Ue per riconquistare sovranità politica, monetaria ed economica», «uscire dalla Nato»).

Un greve minestrone, insomma, di idee orecchiate da Salvini, Casaleggio e Di Battista. Ma anche da Steve Bannon, il guru dell'alt right che ieri intervenendo a un convegno in Belgio contro il Global Migration Compact, ha paragonato i gilet «agli elettori di Trump e a quelli britannici pro Brexit, persone che vogliono avere il controllo dei loro Paesi». E se questa è la «manina americana», c'è anche la manona di Donald Trump, pronto a saltare sul treno antimacroniano nel suo classico stile da elefante in cristalleria. Il suo ultimo tweet recita: «L'accordo di Parigi non sta funzionando così bene per Parigi. Proteste e rivolte in tutta la Francia. La gente non vuol pagare grosse somme di denaro, molto a Paesi del Terzo mondo (gestiti in modo discutibile), per proteggere forse l'ambiente. Cantano Vogliamo Trump. Amo la Francia».

Manca solo una sua foto in gilet giallo.

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