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Manovre d'autunno: leadership a Gentiloni con la stampella Leu

L'ipotesi legata a nuove elezioni dopo l'estate. Ma rimane il progetto di rimandarle al 2020

Manovre d'autunno: leadership a Gentiloni con la stampella Leu

La Direzione Pd, dopo tanto clamore e sconquasso, finisce per confermare il fatto che a dare le carte è sempre Matteo Renzi.

Ora però si apre un'altra partita: cosa accadrà dopo lunedì, quando il capo dello Stato avrà concluso il nuovo giro di consultazioni? Chi lo chiede al segretario dimissionario del Pd si sente rispondere che «non si voterà prima del 2020». Renzi insomma è convinto che un governo «è ancora possibile»: di tregua, del presidente, di transizione o qualunque sia la formula usata. Esclude la possibilità di un esecutivo Cinque Stelle con l'appoggio del solo Pd, ma non quello di un governo «per le riforme e la legge elettorale» votato dal centrodestra e con l'astensione di Pd e Cinque Stelle, oppure un'intesa tra centrodestra e grillini con il Pd all'opposizione. Un'ipotesi, quest'ultima, che sicuramente piacerebbe molto a Renzi, ma che allo stato appare altamente improbabile. In casa Pd circolano anche i nomi dei possibili premier del governo di tregua: il grand commis Alessandro Pajno o il giurista Sabino Cassese. Nomi fuori dall'agone politico, perché l'idea che il Pd possa anche solo astenersi su un gabinetto a guida Di Maio o Salvini è, come ha ripetuto anche ieri Renzi, impraticabile: «Nessuno dei nostri elettori lo capirebbe».

Ma da ieri l'ipotesi del voto anticipato è tornata in primo piano. E nei palazzi del governo circolano addirittura le due possibili date delle prossime elezioni: 23 o 30 settembre. Se il presidente della Repubblica constaterà che lo stallo permane e che nessuna maggioranza è possibile perché il centrodestra resta unito, il Pd non si svende ai Cinque Stelle e i grillini mantengono il proprio veto su Berlusconi, la conclusione sarà inevitabile. E il voto a settembre consentirebbe di avere il tempo per varare la Finanziaria. Il governo Gentiloni resterebbe dunque in carica fino alla data delle elezioni, per garantire l'ordinaria amministrazione. E nel Pd si comincia a ragionare anche su questo possibile sbocco. Come arrivare alle urne in una situazione in cui la campagna elettorale rischia di essere monopolizzata dal «ballottaggio» populista tra Cinque Stelle e Lega? L'idea sulla quale si ragiona è quella di giocarsi la carta più istituzionale e al tempo stesso popolare di cui dispone il partito, ossia proprio il nome di Paolo Gentiloni.

L'attuale presidente del Consiglio, che negli ultimi due mesi è stato ben attento ad assicurare la continuità governativa senza entrare mai in rotta di collisione con i presunti «vincitori» del 4 marzo, informandoli passo passo delle decisioni di interesse nazionale che venivano prese, avrebbe tutte le carte in regola per essere investito del ruolo di candidato premier di una coalizione di centrosinistra che si tenterebbe di allargare il più possibile. Non solo ai reduci di sinistra di Liberi e Uguali ma anche al centro, coinvolgendo sigle e formazioni pronte a coalizzarsi per evitare di consegnare l'Italia agli «estremismi anti-europei». Gentiloni, peraltro, ha anche il pregio di non essersi fatto mai risucchiare dalle convulsioni del dibattito interno al Pd, restando fuori dalla mischia ma senza mai rinnegare la sua sintonia politica con Renzi.

E i sondaggi di popolarità continuano a confermarlo in vetta: nessuno, nel Pd, avrebbe argomenti per opporsi.

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