Cronaca internazionale

In mare a caccia di scafisti. Spunta pure un machete | Il video

Sulle motovedette della Guardia costiera tunisina: già fermate 55mila persone. Le preghiere ad Allah di chi parte

In mare a caccia di scafisti. Spunta pure un machete | Il video

«Volete morire? Fermate subito il motore. I trafficanti vi hanno ingannato» urla dal ponte della motovedetta tunisina 3502 il capitano Faisal, che parla un po' italiano dopo aver seguito dei corsi a Gaeta. Nel buio della notte illuminata dalla luna piena il barchino in ferro stracarico di migranti, almeno una quarantina, si è fermato dopo aver visto la sagoma bianca e rossa dell'unità varata nel nostro paese. «Ci hanno scambiato per la Guardia costiera italiana. Adesso vedrai che cercheranno di fuggire proseguendo verso Lampedusa» spiega sconsolato l'ufficiale tunisino. In un attimo il migrante al timone ridà gas al motore fuoribordo allontanandosi dalla motovedetta. Il colonnello Ayman, comandante dell'unità, fa attivare lampeggianti e sirene e il faro di bordo rincorre il barchino che naviga a zig zag. La motovedetta è troppo grossa per fermarlo e allora gli uomini dei corpi speciali, con il volto mascherato per evitare rappresaglie dei trafficanti, calano il gommone Zodiac in mare armati solo di manganelli in gomma leggera. Sempre più spesso i migranti si ribellano con violenza pur di non farsi riportare a terra.

«Fermate il motore, fermate il motore. É finita», urla in francese Faisal avvicinandosi a tutta velocità alla massa di migranti sub sahariani stivati come sardine sul barchino della morte, che ondeggia paurosamente. A tracolla hanno delle camere d'aria di automobile gonfiate come salvagenti. Quasi tutti giovani assieme ad una donnona africana che ripete «vi prego, vi prego lasciateci andare in nome di Allah». Il migrante scafista non demorde continuando a navigare nonostante i tentativi dei militari della Guardia nazionale di colpire il motore con un'asta. «Rispettate l'autorità - sbraita Faisal - Chi è il capitano? Se non si ferma andrà in prigione». I migranti cominciano ad alzare le mani per chiedere venia e andare avanti. «Per favore, per favore non vogliamo tornare in Tunisia»,ripetono in un coro lamentoso sul mare quasi piatto. Quando il gommone riesce ad affiancare il barchino la donna stringe le mani dei militari piangendo e ripetendo «pardon, pardon». Un ragazzo riccioluto con la camera d'aria-salvagente a tracolla ha lo sguardo inebetito. Altri tremano dal freddo dopo due giorni in mare. La scena è straziante e stringe il cuore, ma la Guardia costiera tunisina non può lasciarli andare chiudendo un occhio e favorendo l'immigrazione illegale in Europa. Dall'inizio dell'anno, soprattutto nell'area di Sfax, hanno intercettato 53.788 migranti, il doppio rispetto al 2022, ma 88mila sono riusciti a passare sbarcando in Italia.

Alla fine si arrendono, dopo aver percorso 48 miglia verso Lampedusa, e vengono fatti salire a bordo della motovedetta di 35 metri uno ad uno. «Li abbiamo intercettati seguendo la rotta dei migranti illegali. Ci stiamo avvicinando a Lampedusa», spiega il comandante Ayman davanti alla mappa digitalizzata che indica l'isola.

In 48 ore di operazioni in mare e a terra contro i trafficanti la Guardia nazionale ha bloccato 62 barchini intercettando al largo di Sfax 682 migranti illegali in gran parte sub sahariani, ma pure 228 tunisini. E 48 «tra organizzatori di operazioni migratorie e intermediari» sono finiti in manette. Un ufficiale in comando fa notare che «ci sarebbe bisogno di maggiore collaborazione con la Guardia costiera italiana. Non affondano i barchini, che spesso tornano indietro venendo riutilizzati dai trafficanti».

Per gli uomini della Guardia nazionale, che hanno una paga base in dinari di soli 300 euro, le intercettazioni in mare stanno diventando sempre più pericolose. «I migranti sono diventati aggressivi: coltelli, machete, pietre e anche la minaccia di usare le taniche di carburante come molotov pur di non fermarsi sulla rotta verso Lampedusa»,conferma Faisal. Un assaggio lo abbiamo avuto anche noi a bordo di una motovedetta veloce chiamata in rinforzo per un barchino zeppo di migranti che sventolano la bandiera del Sudan. All'ordine di spegnere il motore reagiscono accelerando e urlando con stizza «lasciateci andare, lasciateci andare». Un giovane esagitato ha in pugno un machete, capace di staccarti la testa con un solo fendente, e lo sventola in aria. Tutti urlano insulti e un paio di migranti cominciano a lanciare pietre grosse come mele contro la motovedetta. Uno ci vede filmare la scena e tira un sasso verso di noi. Le altre motovedette navigano a tutta forza in circolo per provocare delle onde e fare traballare il barchino in ferro. I sudanesi non demordono e proseguono verso l'Italia ripetendo il grido di battaglia degli islamici: «Non c'è altro Dio al di fuori di Allah».

I marinai proteggono il parabrezza con delle coperture in gomma, ma ogni volta che si avvicinano agli irriducibili parte la grandinata di sassi. La nostra motovedetta riceve l'ordine di fare da ariete e punta la prua sul motore mettendolo fuori uso. I ribelli alla deriva si arrendono e vengono fatto salire sulle altre imbarcazioni trattati dai tunisini, dopo un'ora di «battaglia» navale, con una calma olimpica.

Uno dei più giovani cerca ancora di resistere al sogno spezzato di arrivare in Italia e sbatte le mani sull'acqua urlando: «Giuro su Allah che preferisco morire adesso».

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