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Meloni accelera sulla manovra: lunedì sarà in Cdm. Timori per le ricadute dal Medio Oriente

È primissima mattina quando tra Palazzo Chigi e la Camera rimbalza la voce che Giorgia Meloni è intenzionata a partecipare ai voti su scostamento di bilancio e Nadef in programma verso le 12.30

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È primissima mattina quando tra Palazzo Chigi e la Camera rimbalza la voce che Giorgia Meloni è intenzionata a partecipare ai voti su scostamento di bilancio e Nadef in programma verso le 12.30. Non tanto per il precedente dell'aprile scorso, quando a Montecitorio il centrodestra andò in tilt e non raggiunse la maggioranza assoluta necessaria per autorizzare lo scostamento proprio nei minuti in cui la premier era a Downing Street impegnata in un faccia a faccia con Rishi Sunak. Quanto per dare un segnale di unità e compattezza in vista di una manovra che, come sempre accade nei governi di coalizione, agita i partiti della maggioranza. Una legge di Bilancio quasi tutta in deficit e, come ha fatto notare il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, impostata «prima dei recenti eventi mediorientali». Insomma, non è affatto escluso che la guerra israelo-palestinese porti instabilità e rischi per la crescita non solo in Europa. A Palazzo Chigi ne sono consapevoli ed è per questo che Meloni vuole blindare la manovra ed evitare il solito tiro e molla, anche perché proprio in quei giorni - tra il 20 ottobre (Standard&Poor's) e il 17 novembre (Moody's) - sono attesi i giudizi delle agenzie di rating sul debito italiano (ieri Fitch ha fatto rilievi critici sulla Nadef).

Alla fine, la premier ha deciso di non presentarsi alla Camera, anche perché presa da alcune interlocuzioni internazionali sulla crisi in Medio Oriente, ma in tarda serata ha convocato a Palazzo Chigi i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, i ministri Giorgetti e Luca Ciriani e i capigruppo di maggioranza per un doppio vertice sulla manovra. L'obiettivo è accelerare e portarla in Consiglio dei ministri già lunedì.

L'altro fronte che preoccupa Meloni è ovviamente Israele. Ieri la premier ha avuto un colloquio telefonico con il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohamed bin Zayed bin Sultan Al Nahyan. Conversazione incentrata sulla necessità di dare «massima rilevanza» al lavoro per una «rapida de-escalation al fine di evitare un ulteriore allargamento del conflitto» e «sostenere gli sforzi in corso di mediazione per il rilascio degli ostaggi». Un concetto che Meloni ha condiviso anche nel corso della telefonata con Tamin Bin Hamad Al-Thani, emiro del Qatar, Paese considerato vicino ad Hamas.

In questo quadro, uno dei timori di Palazzo Chigi è che il conflitto in corso abbia ripercussioni anche sull'Africa, dove il governo è impegnato sia sul fronte dell'approvvigionamento energetico che su quello dell'immigrazione. Proprio venerdì, Meloni è attesa in Mozambico e nella Repubblica del Congo, una missione che è stata dimezzata e compressa in un solo giorno proprio a causa della crisi mediorientale. Sulla questione energetica, però, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, predica ottimismo. «Avevamo una forte dipendenza dalla Russia, ma - spiega a Porta a Porta - siamo riusciti nel giro di un anno a rendere di fatto irrilevanti il petrolio e il gas russi. Abbiamo optato per un mix di approvvigionamento che ci permette oggi di essere assolutamente sicuri». Insomma, il fatto che tra i nostri fornitori ci sia anche il Qatar, non preoccupa più di tanto.

Fazzolari, invece, punta il dito contro la «forte immigrazione islamica» che «porta una grande avversione al mondo ebraico nel cuore dell'Europa».

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