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Meloni smorza i toni. "Ci usano per ragioni di consenso interno". Restano i timori per l'intesa Ecr-Ppe

Giorgia Meloni aveva sentito al telefono Emmanuel Macron la scorsa settimana, proprio il giorno prima dell'affondo a freddo del ministro dell'Interno francese, Gérald Darmanin

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Giorgia Meloni aveva sentito al telefono Emmanuel Macron la scorsa settimana, proprio il giorno prima dell'affondo a freddo del ministro dell'Interno francese, Gérald Darmanin. Un colloquio assolutamente cordiale che non lasciava certo immaginare quanto sarebbe accaduto di lì a poche ore. I due si rivedranno a breve, prima al Consiglio d'Europa in programma a Reykjavik martedì e mercoledì, poi al G20 di Hiroshima del 19 e 21 maggio dove, approfittando del campo neutro, non è escluso possano avere un bilaterale. E a quel punto sarà inevitabile affrontare la delicata questione delle crescenti tensioni tra Roma e Parigi. Che la premier, almeno pubblicamente, prova per quanto possibile a smussare, ben consapevole che alimentare la polemica significherebbe fare il gioco di Macron. Se mai ci fossero stati dubbi, infatti, il secondo round dello scontro - riaperto ieri da Stephane Séjourné - è impossibile sia frutto di una circostanza casuale. Che il presidente di Renaissance, fedelissimo di Macron, tacci Meloni di una politica «inumana» sui migranti proprio nelle ore in cui Eliseo e Palazzo Chigi lavorano a ricucire, infatti, è quasi certamente un affondo di cui il suo leader era stato informato.

Un dubbio che ha anche la premier. Meloni, però, sceglie di non andare allo scontro frontale e - durante la sua visita a Praga - si limita a «presumere» che la polemica sia «legata a ragioni di politica interna francese». Certo, aggiunge, «non credo sia molto proficuo utilizzare le relazioni internazionali per risolvere i propri problemi», ma «ognuno fa le scelte che vuole fare» e «io continuo a fare serenamente il mio lavoro». Le ragioni interne le riassume in un post su Facebook il capo-delegazione di Fdi-Ecr al Parlamento europeo, Carlo Fidanza. C'è un problema dentro Renaissance sulla linea politica da seguire, ma pure un calo di consensi del partito di Macron, che soprattutto sul dossier immigrazione teme la rincorsa di Marine Le Pen. Infine c'è una questione più di prospettiva: la linea del governo italiano sui migranti viene considerata l'anello debole di un'eventuale alleanza tra i Conservatori (di cui Meloni è presidente) e il Ppe, un'intesa che dopo le Europee del 2024 potrebbe ridisegnare gli equilibri a Bruxelles. È anche per questo, dunque, che Macron - una delle prime vittime di un accordo tra Ecr e Popolari europei - sta battendo con insistenza sul punto.

E chissà che la questione delle future alleanze in Europa non sia stata trattata ieri a Praga durante il bilaterale tra Meloni e il premier della Repubblica Ceca, Petr Fiala. Il Partito civico democratico di cui è leader, infatti, milita insieme a Fdi nei Conservatori. Tanto che proprio sul capitolo immigrazione i due hanno registrato grande sintonia («d'accordo con l'Italia per una lotta più decisa ai trafficanti di esseri umani», ha detto Fiala). Intesa che si allarga anche al dossier energetico e al Patto di stabilità.

Ma ieri non c'è stata solo la Francia a prendere di petto Roma. Anche la Spagna - il cui governo è guidato dal socialista Pedro Sànchez - ha deciso di attaccare a freddo le politiche sul lavoro di Meloni che - dice la vicepremier Yolanda Díaz - vuole «governare contro lavoratori e lavoratrici» per «tornare» al modello dei «contratti spazzatura», la stessa cosa che «vorrebbe fare Vox». Se a Parigi il dossier migranti è usato in chiave anti-Le Pen, a Madrid il fronte lavoro serve a polemizzare con l'estrema destra spagnola. Non è un caso che Meloni intraveda «la stessa dinamica».

«Sono in difficoltà in casa loro e usano il governo italiano per salvare il consenso interno».

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