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Il "metodo Report" contro La Russa

Inchiesta-linciaggio tra telecamere al cimitero e caccia al dentista. Il presidente querela

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Il presidente del Senato Ignazio La Russa annuncia querela contro la trasmissione Rai «Report», che «infanga mio padre e la mia famiglia con ricostruzioni del tutto difformi dalla verità, e altamente lesive dell'onore di Antonino La Russa, che oggi avrebbe 110 anni e mai in vita sua ha ricevuto un avviso di garanzia».

Il conduttore della trasmissione, Sigfrido Ranucci, è invece entusiasta: grazie al «target» scelto (la seconda carica dello Stato) e alle sapienti anticipazioni diffuse da testate amiche, è riuscito a tenere gli ascolti, nella nuova fascia oraria domenicale, ai livelli del predecessore Fabio Fazio. E fa un tour di apparizioni tv per celebrare: «Sono contentissimo del risultato», e non solo per sé: «Anche per la Rai, che ha dato una prova di indipendenza». Poi gigioneggia su La Russa che «ha inventato un nuovo genere: l'auto-intervista». In verità, il presidente del Senato ha inviato alla trasmissione un video in cui rispondeva (negando le accuse) a tutte le domande inviategli per iscritto da Report: diciassette. Il conduttore ne ha trasmesse solo due.

Del resto lo stesso Ranucci (che rivendica che la sua, modestamente, è «una delle migliori trasmissioni d'inchiesta al mondo», per non dire dell'universo) ha pubblicamente spiegato che lo «spirito di Report» è «il romanzo della verità». Chi è stato oggetto del «metodo Report» (così ebbe a definirlo Matteo Renzi, protagonista della stranissima intercettazione video durante un colloquio privato, misteriosamente ottenuta), ma anche chi più semplicemente è esperto delle questioni su cui Report imbastisce le sue inchieste ad effetto, sottolinea come spesso l'amore per il «romanzo» superi quello per la «verità». «La gogna di Report - denuncia da Italia viva Luciano Nobili - si alimenta di illazioni, bufale, finte fonti anonime, fake news spacciate per verità. Il contrario esatto di quel che dovrebbe essere il servizio pubblico».

Ma il colore, nel romanzo, conta. Così c'è la telecamera che fruga il cimitero in cerca delle tombe dei parenti del presidente del Senato. E c'è l'audace inviato che insegue un parlamentare di Fdi urlandogli: «Ma lei è stato eletto perché è il dentista di La Russa?». E qualche aspetto romanzesco fa facilmente capolino anche nella scelta del «testimone esclusivo» intervistato da Report per fare «rivelazioni esplosive» sul passato dei defunti La Russa: un ex colonnello dei Carabinieri, Michele Riccio, che racconta di aver saputo da un suo confidente mafioso che Cosa nostra, nel 1994, avrebbe dato indicazione di votare per Forza Italia e per Antonino e Vincenzo La Russa. Peccato che, rileva Ignazio, «Antonino non era candidato e il figlio Vincenzo (mai appoggiato dai familiari) era candidato non con Fi ma con l'Udc». In compenso, Riccio non è uno sconosciuto: non solo perché a fine anni Novanta venne arrestato e poi condannato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, ma perché è stato anche giudicato testimone inattendibile dai tribunali: era l'accusatore, insieme a quel gentiluomo di Ciancimino jr, del Generale del Ros Mori, che secondo lui «non aveva voluto arrestare» il boss Provenzano. Mori venne ovviamente assolto con formula piena, e Riccio denunciato per calunnia. Fervido sostenitore della teoria del complotto sulla Trattativa Stato-Mafia, smontata dai tribunali, rivelava: «Non credo per niente nello Stato», a suo avviso «mandante» di tutte le bombe, le stragi e gli omicidi «eccellenti» che servono solo a «coprire la Trattativa che c'è sempre stata e continuerà ad esserci». Dopo cotanti successi, l'ex colonnello (mandato in pensione) era finito comprensibilmente un po' in ombra.

Finché Ranucci non lo ha riscoperto.

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