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Mille giorni corsi in solitaria dopo il fuoco amico contro Letta

Il decisionismo ha funzionato per poco tempo. Poi il declino del governo Renzi

Mille giorni corsi in solitaria dopo il fuoco amico contro Letta

Roma - Mille e 17 giorni, quasi tre anni a Palazzo Chigi, tutti corsi in solitaria. Oggi il premier Matteo Renzi andrà al Quirinale per rassegnare le dimissioni nelle mani di Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica eletto durante il suo mandato. L'incarico glielo diede il predecessore, Giorgio Napolitano.

Il secondo esecutivo della XVII legislatura inizia con uno strappo. Quello con il predecessore del rottamatore, Enrico Letta, che viene messo da parte, insieme a tutta la vecchia guardia del Partito democratico. L'altro grande strappo politico di Renzi è proprio quello per la scelta del capo dello Stato, nel gennaio del 2015. La prospettiva di riforme condivise dal centrodestra naufraga con la scelta di Mattarella che taglia fuori Forza Italia.

Durante tutto il suo mandato Renzi dimostra di volere fare da solo. In politica, ma anche nelle scelte chiave della politica economica, che affida al suo staff e ai consulenti di Palazzo Chigi, tenendo spesso i ministeri all'oscuro. Allergico ai commissari alla spending review. Sotto il suo mandato non ne resiste uno.

Il decisionismo 2.0 di Renzi all'inizio sembra funzionare. All'inizio il consenso è ai massimi, testimoniato all'inizio solo dai sondaggi. Renzi dovrà aspettare un anno, per la precisione il voto europeo del maggio 2014 per avere un riconoscimento elettorale quasi ufficiale. E lo supera alla grande. Il Pd raccoglie una percentuale mai vista: il 40,8 per cento, anche grazie a provvedimenti popolari come gli 80 euro in busta paga, distribuiti quando il consenso era ancora al massimo, durante la cosiddetta «luna di miele», il periodo d'oro che generalmente si dovrebbe utilizzare per le riforme più drastiche e meno popolari. Il meccanismo inizia a incepparsi con le leggi di Stabilità vere e proprie. Le ambizioni di riduzione della pressione fiscale si scontrano con gli obblighi europei. In mancanza di altro, Renzi punta sulla riforma del lavoro: il Jobs Act rende meno stabili i contratti di lavoro a tempo indeterminato, indebolisce alcune tutele. Poi la decontribuzione. Entrambi non danno i risultati sperati. Le difficoltà maggiori spuntano con il Salva banche, provvedimento fatto passare come una cura lieve, che poi si rivela una trappola per gli obbligazionisti di quattro importanti banche del Paese. Compresa Banca Etruria, il cui vicepresidente è stato il padre del ministro Boschi. Poi lo scontro con l'Ue, diventato insostenibile in occasione dell'ultima manovra, fatta tutta in deficit per cercare di riconquistare il consenso perduto. In questi mesi Renzi tende la mano persino ai sindacati.

La ricerca affannosa di una nuova luna di miele, finita con il voto del referendum di ieri.

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