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Moschee integraliste Quei legami sospetti tra Italia e Turchia

Nel mirino i finanziamenti di Diyanet e i collegamenti coi Fratelli musulmani

Moschee integraliste Quei legami sospetti tra Italia e Turchia

Milano Islam politico e Turchia ormai sono un tutt'uno. «Nel panorama dell'integralismo, i turchi sono quelli con i soldi» spiega Lorenzo Vidino, studioso e direttore di un progetto sull'estremismo alla George Washington University. L'Austria ha deciso di espellere decine di imam legati dell'Atib, l'unione turco islamica legata alla Diyanet, la Direzione turca per gli affari religiosi. Vienna chiude anche sette moschee. E molti plaudono. «La questione non è se aprire o meno ma chi gestisce, chi mette i soldi, chi forma gli imam» spiega Marco Lombardi, docente alla Cattolica. Vienna chiude, Milano dà il via libera. E molti lo sottolineano, notando proprio come uno dei minareti da sanare sia quello di via Maderna, in mano a Milli Gorus, sigla islamica turca inserita nella «black list» governativa tedesca. Il Municipio 4 è apertamente contrario al piano comunale. «Le moschee non sono solo luogo di culto, sono luogo politico» dice il presidente Paolo Bassi, mentre i colleghi di altre due Zone annunciano parere negativo. Intervenendo su lavori (non autorizzati) in via Maderna, due mesi fa un consigliere regionale leghista, Max Bastoni, ha denunciato collegamenti inquietanti. «È emerso - ha detto - che la società che aveva ottenuto i permessi è la Europaische Moscheebau und Unterstutzungs Gemenschaft». Bastoni indica la società come una «azienda tedesca il cui socio di maggioranza è Ibrahim Al Zayat, presidente della Islamische Gemeinschaft in Deutschland, Igd, una delle maggiori organizzazioni islamiche della Germania, pienamente controllata dai Fratelli Musulmani». Quello di Al Zayat è un nome di peso. Lui ha sposato la nipote di Necmettin Erbakan, primo ministro turco negli anni Settanta e fondatore di Milli Gorus. La sorella - «coincidenza» notata da Vidino - gestisce molte organizzazioni legate alla Fratellanza in Austria ed è una fiera oppositrice del governo conservatore di Sebastian Kurtz. L'Atib è finita nel mirino in Austria. In Germania si parla della potentissima Ditib, che conta 800mila adepti e 900 moschee (anche in grandi città). Numeri enormi, legati a fenomeni migratori ingentissimi. In Italia il Ditib, identico logo, compare a Imperia, Modena, Como. E ancora a Milano, in via Toffetti. «Ditib Italia» si legge proprio nel campanello al civico 27, sotto un'insegna che reca la scritta: «Unione turca islamica degli affari religiosi d'Italia».

«Vienna si è data lo strumento di una legge - osserva Vidino - in Italia non c'è la stessa attenzione, anche se i finanziamenti arrivano. Dalla Turchia e dal Qatar, come ha ammesso lo stesso presidente dell'Ucoii». Quando si parla di islam politico siamo nel campo della «ideologia», non c'è alcuna contestazione in atto, ma la descrizione di un mondo con caratteristiche costanti. E costanti punti critici, come il ruolo della donna, la libertà religiosa, i diritti degli omosessuali, i sentimenti «antisionisti» per non dire antisemiti. «L'islam politico - avverte Vidino - in un certo senso è ancora più insidioso, intanto è incompatibile con una reale integrazione e crea il terreno in cui attecchiscono altri fenomeni».

I grandi progetti fioriscono. Dietro al grande «villaggio dell'Islam» che sorgerà a Sassuolo, per esempio, sta lo studio tecnico Alia Himmat. «Per coincidenza è figlia di Ghaleb Himmat» osserva Vidino, evocando un finanziere siriano associato alla Fratellanza musulmana. Lavori importanti sono stati eseguiti a Brescia. I principi del Qatar hanno visitato Piacenza. E direttore del centro islamico di Piacenza è Yassine Baradai, già responsabile comunicazione di «Islamic relief» e poi dirigente del Caim, il coordinamento dei centri islamici oggi presieduto da Osman Duran, il leader di via Maderna a Milano. Baradai è anche il fondatore di «Halalandia», piattaforma di e-commerce che vende abbigliamento ai musulmani: hijab e tappetini per la preghiera. E libri «fondamentali».

«Oggi la Turchia - si legge nel Chi siamo - è considerata uno dei centri dell'Islamic fashion style».

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