Economia

Mps si aggrappa al mercato per non finire sotto lo Stato

Dalla conversione dei bond raccolto oltre un miliardo L'ombra dei negoziati aperti dal Tesoro con Bruxelles

Mps si aggrappa al mercato per non finire sotto lo Stato

«Tutto quello che potevamo fare lo abbiamo fatto, ora o la va o la spacca». È questo il commento di uno degli attori della partita sul futuro del Monte dei Paschi che si sta giocando in queste ore.

I tasselli del puzzle vanno incastrati tutti nel giro di pochi giorni con il rischio che il risultato referendario li faccia saltare. In gioco non c'è soltanto la sopravvivenza del Monte ma la tenuta dell'intero sistema bancario perché un eventuale flop dell'operazione avrà ricadute pesanti su altri cantieri di lavoro aperti, dal riassetto di Unicredit alla cessione delle quattro good bank (Etruria&C) passando per la fusione fra le ex popolari venete.

Sarà anche per questo che ieri, rilanciate dal Corriere della Sera, sono cominciate a circolare insistentemente le voci di un cordone di sicurezza aperto dal governo, chiedendo a Bruxelles la possibilità di salvare Mps con soldi pubblici. Ovvero nazionalizzare se la ricapitalizzazione dovesse fallire. Un modo per spaventare chi ha in mano i bond subordinati e spingerli alla conversione entro la scadenza fissata per le 16 di ieri, commenta al Giornale il rappresentante di un fondo di investimento inglese. L'ipotesi di una richiesta preventiva di nazionalizzazione viene esclusa anche da fonti vicine a Rocca Salimbeni che ricordano come i colloqui con la Commissione Ue vadano avanti da mesi con l'obiettivo di capire dai tecnici europei fin dove Palazzo Chigi può spingersi in caso di interventi straordinari senza far alzare il cartellino rosso di Bruxelles sugli aiuti di Stato. Non solo per il Monte, ma per l'intero sistema. Anche se il caso senese è particolare, perché il Tesoro è azionista con il 4% e quindi potrebbe partecipare all'aumento di capitale da 5 miliardi. Ieri il portavoce della Commissione Europea per la Concorrenza, ha risposto con un no comment in merito ai rumors sulla nazionalizzazione ricordando comunque che «il fabbisogno di capitale deve in prima istanza essere raccolto sul mercato e da altre fonti private».

L'ad del Monte, Marco Morelli, ha sottolineato a più riprese che «non esiste un piano B». E ieri il «piano A» ha cominciato a camminare con la prima delle varie gambe che devono portare in salvo la banca, ovvero la conversione in azioni di 10 bond subordinati: con l'offerta è stato raccolto più di un miliardo. La cifra è comunque provvisoria. Una volta completata l'analisi di tutte le proposte ricevute, si legge in un comunicato, i risultati verranno comunicati «indicativamente» entro lunedì. Lo stesso giorno, secondo indiscrezioni, potrebbero essere forniti dettagli sul numero degli investitori di grossa taglia disposti a risvegliare la banca dall'incubo. Ieri, intanto, al Forum Med 2016 di Roma ha partecipato anche il ministro degli esteri del Qatar e ci sarebbero stati colloqui con il governo sulla possibile ingresso nel capitale del Monte del fondo sovrano degli emiratini, Qia. Non solo. Mercoledì scorso al Quirinale, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto il presidente emerito di Intesa, Giovanni Bazoli, e il numero uno delle Fondazioni, Giuseppe Guzzetti. Ufficialmente per la presentazione di un rapporto sulla condizione giovanile in Italia, ma Mattarella avrebbe colto l'occasione per confrontarsi sullo stato di salute del sistema bancario con due «grandi vecchi» della finanza ancora molto attivi dietro le quinte. Soprattutto Guzzetti, che è considerato il vero regista di Atlante, ovvero il fondo incaricato di smaltire le sofferenze che zavorrano i bilanci delle banche nostrane.

Lo stesso patron di Cariplo e dell'Acri, ieri a margine di un convegno, è stato lapidario: «Mps non può fallire. Punto».

Se Siena, ostaggio per decenni della politica, verrà salvata dal mercato lo scopriremo nei prossimi giorni.

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