Cronache

La multinazionale di Alba che fa gola ai giganti del "food"

La Ferrero rappresenta un perfetto esempio di ossimoro economico

La Ferrero rappresenta un perfetto esempio di ossimoro economico. Capita raramente di veder coniugato il gigantismo tipico delle multinazionali con una conduzione familiare di cui il radicamento con la terra d'origine resta l'elemento centrale, seppure stridente con la migrazione di Michele a Montecarlo e con il trasloco della sede legale in Lussemburgo. Il gruppo è tutto questo. Da sempre. Il motto della Fondazione è «Lavorare, creare, donare». In silenzio. Per tutta la sua vita, il patron ha fatto della riservatezza un tratto peculiare, stile Cuccia. Una sola “intervista“. L'anno, il 1967.

Poi, non più un fiato, quando in molti avrebbero pagato pur di far dire qualunque cosa al Re Mida d'Italia, all'uomo con una fortuna superiore ai 23 miliardi di dollari. Il numero trenta al mondo, con un patrimonio che è lo specchio di un'azienda poggiata su pilastri di ricchezza crescenti e capace di coccolare il giusto i dipendenti, ricevendone in cambio non un'ora di sciopero. Se Nutella è l'icona celebrata nei suoi 50 anni perfino con un francobollo, se è l'idea geniale avuta da chi ha pensato di spalmare la pasta Gianduja sul pane, se è il sogno proibito di chi porta il cilicio della dieta, dietro il simbolo c'è un'industria capace, anno dopo anno, di farse le spalle larghe in mezzo a colossi svizzeri e americani. D'altra parte, non si arriva per caso a fatturare oltre 8 miliardi di euro (dati 2013, gli ultimi disponibili) e a mettere in cascina 544 milioni di utili netti; nè senza invenzione e innovazione, oppure non puntando sulla destagionalizzazione produttiva (i Rocher quando fa freddo, l'Estathè quand'è caldo) si possono mettere in fila 20 stabilimenti (di cui uno in Irpinia, a Sant'Angelo dei Lombardi), 70 società controllate e oltre 22mila dipendenti.

E allora, quanti miliardi vale, Ferrero, in Borsa? Zero virgola zero. Il «Signor Michele», come l'hanno sempre chiamato ad Alba, ha sempre avuto in uggia Piazza Affari. E se ne è tenuto, prudentemente, alla larga. Molta industria, poca finanza. Senza inoltre farsi incantare dalle sirene delle offerte internazionali e miliardarie piovute nel corso degli anni sull'azienda. Piaceva alla Mars, Nestlé stravedeva per Kinder e Tic Tac al punto - si dice - di aver messo sul piatto 18 miliardi di dollari. Un'offerta che avrebbe permesso alla famiglia Ferrero di diventare il primo socio della multinazionale svizzera. L'indiscrezione, uscita poco più di un anno fa, è stata subito smentita. Ma con la scomparsa del fondatore, i giochi potrebbero riaprirsi.

Ora toccherà al figlio Giovanni, presidente della Ferrero International, decidere cosa fare: se dire sì all'abbraccio di un altro gigante, oppure lasciare Ferrero in perfetta sospensione tra il business globale e una terra che profuma di Nutella e di tartufo.

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