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«No» ai mafiosi al Quirinale E nasce il partito Forza Riina

La Corte boccia i pm: anche il Colle ha l'immunità e Napolitano testimonierà a porte chiuse La Guzzanti, regista del film sulla trattativa, delira su Twitter: solidale coi boss di Cosa nostra

«No» ai mafiosi al Quirinale E nasce il partito Forza Riina

N o, Toto 'u curtu non salirà sul Colle, non lo vedrà nemmeno in televisione: muto, resterà in cella e magari suo cognato don Luchino gli farà compagnia. Nessuno sfregio, i capimafia Salvatore Riina e Leoluca Bagarella non potranno ascoltare il diretta la deposizione del capo dello Stato, non potranno interloquire e commentare, non saliranno sul palcoscenico del Quirinale, non potranno infangare con la loro videopresenza le istituzioni della Repubblica. Toto 'u curtu Riina, da vent'anni dominus di Cosa Nostra, e don Luchino Bagarella, accusato di un centinaio di omicidi, dovranno accontentarsi di leggere i verbali e di quanto racconteranno gli avvocati. Il palazzo del Quirinale infatti «gode dell'immunità». Si aprirà alla corte del processo sulla trattativa, ai pm, ai difensori. Ma la mafia resterà fuori.

Protestano, com'è ovvio, i legali dei capibastone: «Per noi si tratta di un'ordinanza nulla». Protesta Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza: «Non viene garantito l'esercizio del diritto di difesa». Protesta, e pure questo era scontato, Antonino Ingroia, l'ex pm che ha architettato il processo e che ha ancora del veleno avanzato: «Non possiamo mettere a rischio la validità del processo. Napolitano aiuti la giustizia a fare il proprio corso in modo che nessuno, proprio nessuno, possa avere alcun dubbio sul fatto che anche da parte sua esiste la piena volontà di fare luce sulla trattativa tra lo Stato e la mafia». E così nasce uno strano partito pro-Riina, composto dal Fatto , con i suoi editoriali per una volta garantisti, e da Sabina Guzzanti. Lei, che sull'inchiesta ci ha girato un film che è pure andato a Venezia, arriva a schierarsi apertamente a fianco ai boss: «La mia solidarietà a Riina e Bagarella, sono stati privati di un diritto. I traditori delle istituzioni fanno più schifo dei mafiosi». «Si è bevuta il cervello», commenta Daniela Santanchè. «La crisi di una certa cultura di sinistra è ormai irreversibile», aggiunge Matteo Orfini.

Insomma, il corto circuito mediatico-giudiziario ha rilasciato le sue scariche elettriche, anche se la corte d'Assise di Palermo non se l'è sentita di dare l'ultima scossa. Quindi, dopo aver detto sì all'irrituale audizione del capo dello Stato, ora, nonostante il parere favorevole della pubblica accusa, dice no ai boss sul Colle. «L'esclusione non appare contrastare con le norme costituzionali ed europee», spiega il presidente del collegio Alfredo Montalto leggendo l'ordinanza nell'aula bunker dell'Ucciardone. La scelta fa riferimento «al profilo di carattere generale e di natura costituzionale connessa all'immunità riconosciuta al Quirinale che impedisce, ad esempio, anche l'accesso alle forze dell'ordine, con la conseguenza che non sarebbe possibile né ordinare l'accompagnamento di un detenuto con la scorta, né assicurare l'ordine». Ancora: «La stessa Corte dei diritti dell'uomo prevede che la pubblicità del giudizio possa cedere a ragioni obiettive e razionali collegate a tutela di beni di rilevanza costituzionale».

La battaglia adesso si sposta sul piano del diritto, perché i difensori chiederanno di annullare il processo, e su quello politico, perché questa storia fa parte dell'offensiva di una parte della magistratura contro la riforma della giustizia. Giorgio Napolitano non dovrà vedere il faccione di Riina, ma il 28 ottobre dovrà comunque testimoniare. Gli chiederanno se sa qualcosa dei «tormenti» del suo ex consigliere giuridico Loris D'Ambrosio. Il presidente ha già detto di no, ma glielo domanderanno di nuovo. L'udienza sarà senza pubblico ma non segreta.

Si prevedono polemiche e manovre varie.

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