Politica

"Noi, colpiti perché simboli dello Stato"

Il carabiniere a cui Preiti sparò nel 2013: «Non mi sono mai sentito solo»

"Noi, colpiti perché simboli dello Stato"

Roma «Il problema è che la mente umana ormai è andata a farfalle». Giuseppe Giangrande i rischi che corrono le forze dell'ordine li conosce bene. Il 28 aprile 2013, davanti a Palazzo Chigi, cercò di fermare Luigi Preiti, arrivato lì con l'idea di «sparare alla casta», nel giorno del giuramento del governo Letta, e si beccò uno dei sei colpi partiti dalla 7.65 dell'uomo. Da quel giorno è costretto su una sedia a rotelle, e su quanto successo a Cagnano Varano ha una idea molto chiara. «Intanto - spiega al Giornale - quanto è accaduto è spiacevole e grave. Era da tempo che non succedeva una cosa del genere, da gennaio del 2016, a Carrara».

Quel giorno un maresciallo fu ucciso da un uomo per vendicarsi delle indagini che avevano portato i suoi figli in carcere. Anche Di Gennaro è stato ucciso da chi lo aveva minacciato pochi giorni fa. È una nuova tragedia annunciata?

«Se è così, è ancora peggio. Di drammi simili ne capitano, di balordi che ci attaccano in quanto organi dello Stato. Mi dispiace di cuore, voglio fare le mie condoglianze alla famiglia Di Gennaro ed esprimere vicinanza a quella del collega ferito, ma il problema è che la mente umana ormai è andata a farfalle. Quest'uomo è inqualificabile. E nel mio caso, Preiti ha ragionato come gli è parso a lui. Non ci si può far giustizia da sé, se si hanno rimostranze ci sono spazi e modi per farle valere. Non ci si arma, non si spara a chi serve lo Stato».

Non trova che paghiate un prezzo troppo alto come servitori dello Stato?

«No. Quando giuriamo fedeltà all'Arma e al tricolore ci accolliamo ogni rischio, anche questo. Certo, so bene che in questi casi si provano cose indescrivibili: come si può raccontare a parole il dolore della famiglia del maresciallo ucciso, o l'angoscia del collega ferito e dei suoi cari? Si innescano tanti meccanismi, che sono i conti da pagare per chi fa il nostro mestiere».

Ettore Rosato, del Pd, invita a non ricordarsi dei carabinieri solo in occasione delle tragedie. Lei si è mai sentito abbandonato?

«Assolutamente no. L'Arma è la mia seconda famiglia, non ha mai abbandonato né me né mia figlia Martina, e anche l'affetto e la solidarietà dei cittadini di Prato, dove vivo, è costante, né mi sono mai sentito abbandonato dalle istituzioni che ho rappresentato. Gli italiani sanno bene chi siamo e direi che ci sono sempre vicini».

Serve una risposta dello Stato?

«No, c'è già stata. Questo pregiudicato è stato catturato, ci sarà un processo e la giustizia farà il suo corso. Come è successo nel mio caso, con Preiti. Non serve un'altra reazione, purtroppo sono i rischi di questo mestiere: noi, come la polizia, siamo sempre in prima linea per contrastare la criminalità.

Il pericolo va messo in conto».

Commenti