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Noi troppo tolleranti Ma coi kamikaze la forca non serve

I guerriglieri ambiscono al premio del paradiso. La tentazione del patibolo non può essere un deterrente. Ma un passo indietro di civiltà

Noi troppo tolleranti Ma coi kamikaze la forca non serve

Comprendo chi è favorevole alla pena di morte e, periodicamente, ne invoca la reintroduzione dopo gravi fatti di sangue. Mi rendo conto. La strage di Parigi, per come è stata organizzata e si è svolta, nonché per il numero di vittime, merita di essere giudicata con la massima severità. L'indignazione e l'orrore suscitati dai terroristi giustificano un risentimento tale da indurre a pensare alla ghigliottina o alla forca quali deterrenti efficaci contro chi mediti di emulare i macellai che l'hanno compiuta.

Inviterei però a osservare un particolare: gli assassini in questione sono già morti e non si possono ammazzare due volte. Non solo. Essi non erano criminali comuni, bensì guerriglieri convinti di agire in difesa dell'islam e in ottemperanza alle leggi coraniche: nel momento in cui hanno dato il via al massacro, e l'hanno concluso, prevedevano il rischio di lasciarci la pelle. Anzi, per loro il martirio, la perdita della vita, era un ambìto titolo d'onore che, notoriamente, aprirebbe ai musulmani (ferventi) le porte del paradiso con ogni privilegio annesso, inclusa la disponibilità di una settantina di vergini (merca rara, di alta gamma).

Ora, se si considera tutto ciò, non si può supporre che la condanna a morte sia utile a scoraggiare chi intenda progettare attentati: i fondamentalisti - e non certo chi li provoca - la fine dell'esperienza terrena se la vanno a cercare, considerandola appunto un premio, per giunta eterno. La pena estrema, se non serve a prevenire, non conviene infliggerla. Questo sul piano pratico. Su quello teorico, poi, bisogna ammettere che le esecuzioni capitali non andrebbero riservate ai soli musulmani stragisti, ma estese a coloro che indipendentemente dalle rispettive fedi si macchiano di reati odiosi, per esempio certi omicidi (particolarmente truci), come avviene negli Stati Uniti.

Se cedessimo alla tentazione di richiamare il boia sul patibolo, faremmo un passo indietro in materia di conquiste civili, e l'Italia ne farebbe addirittura due, poiché - giova rammentarlo - essa ha dato i natali a Cesare Beccaria, il primo grande pensatore ad avere predicato contro le vendette di Stato.

Chi uccide volontariamente deve essere ucciso? So che un simile «precetto» piace molto a parecchia gente, forse la maggioranza. Senza entrare in discorsi etici troppo complessi, è opportuno fare presente che nei Paesi in cui si adotta la «soluzione finale» non si è risolto un bel niente, nel senso che i delitti (omicidi compresi) non sono affatto diminuiti. Esiste, per sovrammercato, un pericolo: in caso di errori giudiziari (frequenti non esclusivamente dalle nostre parti), il condannato nella bara non è più in grado di avvalersi di un'eventuale riabilitazione. La galera è brutta, ma se ne può uscire, magari tardivamente; dalla tomba, no. Non è un dettaglio su cui sia lecito sorvolare.

Indubbiamente, la voglia (emotiva) di fare secchi gli assassini ha un suo perché, ma è consigliabile reprimerla. Gli uomini, anche i peggiori, talora si ravvedono e vanno aiutati a emendarsi, come recita la nostra Costituzione.

E scusate: ma non siamo contrari alla legge del taglione ancora applicata dai musulmani? Comportiamoci coerentemente.

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