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Non solo Striano. La Procura di Roma ora indaga sulle altre "gole profonde"

La vittima Numero Uno, quella che ha scatenato l'inchiesta sulla centrale da veleni impiantata nella Direzione nazionale antimafia, ancora non sa del tutto chi faceva i dossier a suo carico

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La vittima Numero Uno, quella che ha scatenato l'inchiesta sulla centrale da veleni impiantata nella Direzione nazionale antimafia, ancora non sa del tutto chi faceva i dossier a suo carico. Quella vittima è Guido Crosetto, ministro della Difesa, che con la sua denuncia nell'ottobre 2022, dopo un articolo del Domani, fece aprire l'indagine della Procura di Roma sulla centrale di potere che all'interno della Dna centralizzava le Segnalazioni di operazioni sospette dala Banca d'Italia e ne faceva oggetto di dossier passati ai giornali. Oggi si sa chi fu il colpevole: Pasquale Striano, militare della Guardia di finanza, veterano della Dna, che tra il luglio e l'ottobre di quell'anno realizzò cinque interrogazioni su Crosetto passandole all'inviato del Domani Giovanni Tizian, che le pubblicò una settimana dopo. Il problema è che le fughe di notizie su Crosetto non si fermano quel giorno.

Nell'agosto 2023 vengono pubblicati altri dati riservati relativi a Crosetto e ai suoi rapporti con una società di bed and breakfast di tali fratelli Mangione. La fonte questa volta non può essere Striano, perchè è già stato allontanato dalla Dna. E allora chi è, nel delicato ufficio giudiziario, a continuare a soffiare all'esterno atti riservati?

É questo il tema su cui si sta muovendo ora l'inchiesta bis sullo scandalo dei dossier, aperta anch'essa a Roma in base alla denuncia di Crosetto. Ma è una inchiesta che gira a vuoto. Mentre il primo filone è stato trasmesso a Perugia ed è decollato scoprendo decine di migliaia di accessi abusivi alle banche dati, questo secondo non sta - per quanto se ne sa finora - venendo a capo del mistero. Ma è un buco che andrà colmato, se si vuole capire davvero quanto vasto era il traffico di dati interno alla Dna.

«Striano non agiva da solo», ha detto nella sua audizione in Parlamento il procuratore di Perugia Raffaele Cantone. A molti è parso come un riferimento esplicito all'unico magistrato che compare finora come indagato, il pm nazionale antimafia Antonio Laudati (nella foto). Laudati deve rispondere di dieci capi d'accusa, tutti in concorso con Striano. Nelle carte emerse finora, il magistrato appare come il regista, il mandante. Il lavoro sporco, l'accesso abusivo e la trasmissione ai giornalisti amici, viene svolto dal finanziere. Così oggi l'indagine bis ruota intorno a una domanda. Se Laudati era il mandante di Striano, cosa accade quando Striano viene allontanato dalla Dna? Laudati esce di scena? Utilizza altri esecutori? O si occupa direttamente lui degli accessi e della consegna ai giornalisti, magari con modalità più accorte di quelle (assai maldestre) impiegate dal suo collaboratore?

A queste domande rischia di non trovarsi risposta per il semplice motivo che Laudati non è mai stato perquisito da parte dei suoi colleghi romani. Quando viene perquisito Striano, e la notizia dell'indagine a suo carico finisce sulle prime pagine, Laudati viene a sapere non solo che il suo ex uomo di fiducia è sotto tiro, ma capisce di essere nel mirino anche lui. Il fascicolo passò da Roma a Perugia, dopo che il nuovo capo Giovanni Melillo ha segnalato le anomalie del suo comportamento: il suo ruolo centrale nella gestione delle Sos, la lettera con cui garantiva la affidabilità di Striano, i messaggi con cui chiedeva di poter aprire inchieste con motivazioni inesistenti.

Laudati nel frattempo ha fatto sparire le tracce? O fin dall'inizio ha usato cautele maggiori? Oppure, ed è la convinzione per ora della Procura di Roma, Laudati con i veleni-bis ai danni di Crosetto non c'entra niente? In quest'ultimo caso, bisognerà capire chi c'entra.

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