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È la nostra resa culturale a dare spazio al jihadismo

Le idee di chi ha costretto gli inglesi a capitolare davanti ai propri carnefici sono le stesse di chi, anche da noi, ci chiede di rinunciare alla nostra identità religiosa e nazionale per adeguarci alle pretese dell'estremismo islamista

È la nostra resa culturale a dare spazio al jihadismo

«Compliance kills», l'accondiscendenza uccide. Nel 2005 la scritta campeggiava nella base dei marines con cui ero embedded a Falluja, la roccaforte irachena di Al Qaida. La stessa scritta andrebbe oggi issata sul ponte di Londra per ricordare agli inglesi che la loro sorte di vittime del terrorismo islamista è solo la conseguenza del permissivismo con cui hanno accettato il dilagare delle idee di chi vuole ucciderli. La storia del diciottenne accusato per la tentata strage nel metrò è esemplare. Prima di trasformarsi in un terrorista islamico era cresciuto in una casa d'accoglienza gestita da una coppia di amabili anziani premiati da Sua Maestà per aver educato al meglio 268 minori avuti in affidamento. In un Regno non più unito, ma dilaniato dai richiami alla tolleranza e al politicamente corretto l'educazione famigliare può garantire l'integrazione solo grazie al successivo, ma fondamentale appoggio dell'insegnamento scolastico. Grazie alla capitolazione di chi, come da noi, si batte per rendere meno coinvolgenti le celebrazioni cristiane e nazionali intere scuole inglesi si sono consegnate agli insegnamenti del radicalismo islamico. Nel 2016 solo le proteste di alcuni genitori hanno permesso la chiusura di quattro istituti di Birmingham, Leicester, Nottingham e Sheffield trasformati in incubatrici del terrorismo. Nelle loro aule i libri di testo erano stati sostituiti da manuali scritti da predicatori islamisti, gli studi coranici avevano soppiantato geografia, storia e musica mentre i docenti spiegavano che i mariti possono violentare o bastonare le mogli per «far felice Allah». Con tali maestri difficile poi stupirsi di fronte a sondaggi che dimostrano come molti giovani islamici inglesi condividano gli stereotipi dei terroristi. Fra i più clamorosi quello di Gallup del 2009 che dimostrò come neppure un musulmano su un campione di 500 si dichiarasse tollerante verso gli omosessuali. E un'inchiesta del Sunday Times secondo cui il 40 per cento dei musulmani tra i 16 e i 24 anni preferisce la sharia alle leggi del Regno mentre il 36 per cento concorda sulla necessità di uccidere chi abbandona l'Islam per altre religioni. Ma se queste idee aberranti restano assai in voga tra i giovani islamici di Sua Maestà inutile, allora, puntare il dito contro i due anziani tutori del diciottenne terrorista. A far acqua non è il fragile guscio della loro casa d'accoglienza, ma una nazione e dei governi piegati agli arbitri del fondamentalismo. La nazione e i governi che hanno legittimato l'attività - in varie zone del Regno - di 85 corti islamiche autorizzate ad emettere decisioni in ambito matrimoniale ed economico basate sulla legge del Corano; che hanno chiuso gli occhi sui viaggi di 800 jihadisti partiti alla volta dello Stato Islamico; che hanno risarcito con 20 milioni di sterline i militanti qaidisti rientrati da Guantanamo compreso quel signor Jamal al-Harith, che lo scorso febbraio si è immolato come kamikaze del Califfato dopo aver utilizzato i risarcimenti di Sua Maestà per raggiungere Mosul e combattere tra le fila dell'Isis. Ma non consoliamoci davanti ai mali altrui. Le idee di chi ha costretto gli inglesi a capitolare davanti ai propri carnefici sono le stesse di chi - anche da noi ci chiede di rinunciare alla nostra identità religiosa e nazionale per adeguarci alle pretese dell'estremismo islamista.

L'Inghilterra di oggi rischia insomma di rivelarsi lo specchio dell'Italia di domani.

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