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Nucleare, l'Iran contro Trump. E adesso l'Onu teme la guerra

Teheran: pronti a uscire dal trattato se lo fanno gli Usa Il segretario generale Guterres: «Non gettare via l'intesa»

Nucleare, l'Iran contro Trump. E adesso l'Onu teme la guerra

Il conto alla rovescia verso il 12 maggio rende sempre più nervosi i protagonisti del braccio di ferro sul nucleare iraniano. Gli europei, con Macron in testa, si sforzano disperatamente di salvare l'intesa con Teheran da cui Donald Trump ha molto probabilmente già deciso di recedere. Trump, con il suo solito stile perentorio, ha concesso agli altri Paesi firmatari questi ultimi giorni che mancano alla scadenza fissata per la permanenza o l'uscita degli Stati Uniti dal trattato perché provino a mettere insieme un nuovo testo che rimedi «alle terribili carenze» di quello così fortemente voluto da Barack Obama. E gli iraniani - è notizia di ieri - reagiscono ripetendo che l'accordo non è negoziabile e minacciando di seguire gli americani sulla strada senza ritorno dell'abbandono del trattato firmato a Vienna nel 2015 se davvero Trump andrà fino in fondo. Intanto Netanyahu rafforza il suo legame con l'Amministrazione americana più sintonica dai tempi di Reagan e continua a mandare segnali inequivocabili: la macchina da guerra di Israele è più che pronta a impedire all'Iran e ai suoi alleati di minacciarlo. Con tutti i rischi di escalation che questo comporterebbe.

Le lancette camminano, e il timore che la situazione sfugga pericolosamente di mano cresce. Di quest'ansia si fa portavoce il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres, che mette in guardia «dal rischio reale» di un conflitto. «Viviamo tempi pericolosi - ha detto il numero uno delle Nazioni Unite in un'intervista alla Bbc - e senza una valida alternativa non si dovrebbe abbandonare un accordo con l'Iran che è stato un importante successo diplomatico».

Al momento però queste esortazioni appaiono un esercizio di retorica e non si vede come uscire da questa situazione. Il ministro degli Esteri iraniano Zarif ha detto chiaramente che Teheran rifiuta di accettare modifiche al trattato del 2015, sia sotto forma di rinegoziazioni che di integrazioni. In queste condizioni gli sforzi europei sono inutili e Trump si trova rafforzato nella sua volontà di abbandonare l'accordo.

In un Medioriente che rischia ogni giorno di più di trasformarsi nel teatro di una sanguinosa resa di conti, la storia infinita del conflitto israelo-palestinese passa in secondo piano. Neppure la costante pressione, che dura ormai da settimane, di una marea umana sospinta da Hamas alla frontiera di Gaza con Israele e lo stillicidio di vittime che ne consegue riesce ad accendere una significativa attenzione sulla causa palestinese nel settantesimo anniversario della fondazione dello Stato ebraico. Ad aggravare la condizione di irrilevanza è giunto nei giorni scorsi l'ignobile discorso del leader dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, che ha riesumato i più vieti luoghi comuni dell'antisemitismo per attaccare Israele. Talmente indifendibile è stata quell'uscita che anche il progressista New York Times ha sentito il dovere di suggerirne l'allontanamento dal suo posto, magari per vederlo rimpiazzato da una figura in grado di rilanciare almeno gli elementi basici dello spirito della collaborazione con il vicino israeliano.

Non si vede la soluzione, infine, nemmeno del conflitto che si combatte nello Yemen, dove i ribelli sciiti Houthi armati dall'Iran vengono contrastati dall'intervento dell'aviazione saudita. In questa guerra per procura, dolorosamente pagata dalla gente yemenita, intervengono direttamente, sia pure con il contagocce, gli Stati Uniti.

È ancora il New York Times a rivelare la presenza accanto ai sauditi di una decina di «berretti verdi» incaricati di sostenere lo sforzo bellico contro le basi di lancio dei missili contro l'Arabia.

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