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Ora è guerra di religione Attaccano le chiese per colpire i nostri valori

L'attentato di ieri fa parte di una strategia precisa: conquistare Roma tramite il terrore

Ora è guerra di religione Attaccano le chiese per colpire i nostri valori

C hi vuole continuare a chiamarli pazzi o squilibrati è libero di farlo. Ma il vero pazzo, l'incapace d'intendere, volere e persino vedere è solo lui. Dopo l'assassinio rituale dell'84enne padre Jacques Hamel, sgozzato sull'altare di Saint-Etienne-du Rouvray, il bandolo della matassa è sotto gli occhi di tutti. Per capire il piano dei nostri nemici, per scorgerne ragioni e finalità basta seguirne la trama.

S'inizia nel 2014 con le decapitazioni di ostaggi decise per fare a pezzi la risolutezza occidentale. Si continua nel 2015 con gli attacchi di Parigi e Bruxelles messi in atto per portare la paura nelle nostre case. Si finisce con un terrore nelle chiese che vuole spingerci a nascondere la nostra fede, a rinunciare alla nostra identità, a rinnegare i nostri valori. Che punta insomma a farci morire in ginocchio e a conquistarci definitivamente. Ma partiamo dall'inizio, partiamo dalla Siria.

Lì tra agosto e ottobre 2014 «Jihadi John», un islamista cresciuto nei quartieri eleganti di Londra, fa rotolare le teste di James Foley, Steven Sotloff, David Haines ed Alan Henning. Lo sgozzamento, in meno di 45 giorni, di quattro ostaggi occidentali prigionieri dell'Isis da mesi, se non anni, ha un significato ben preciso. Con quella raffica d'esecuzioni lo Stato Islamico vuole seminare la paura nei cuori occidentali, convincere gli americani e i loro alleati che hanno appena iniziato a bombardare l'Irak a starsene alla larga. Sono esecuzioni basate sulla certezza di fronteggiare un nemico debole e pusillanime. Esecuzioni rivolte non tanto a far smettere dei raid aerei a cui l'Isis sa di poter sopravvivere, ma a convincerci a non mandare forze di terra, a non combattere il nemico faccia a faccia, a non scegliere l'unica forma possibile di guerra al terrorismo.

Quell'errore capitale, quell'arretramento innegabile rispetto alle decisioni assunte dopo l'11 settembre quando si diede la caccia ad Al Qaida nel cuore dell'Afghanistan regala all'Isis la certezza di poter compiere un altro passo avanti, spingendolo a portare il terrore nelle nostre città. Con gli attentati di Parigi e Bruxelles lo Stato Islamico trasferisce la prima linea nel cuore dell'Occidente. E noi ancora una volta non sappiamo far di meglio che chinar la testa e fare un altro passo indietro. Quando, in quei giorni, rinunciamo a chiamare i nostri nemici «islamici», seppur «estremisti», seppur «fanatici», perdiamo la capacità di far notare la differenza tra noi e loro. La differenza tra chi giustifica odio e violenza con la parole di un Profeta che consentono di praticarli e chi - come noi - s'identifica nei principi ben diversi del Cristianesimo.

Ma dopo l'assassinio sull'altare di ieri il piano è già ad una tappa successiva. E non è una tappa segreta. Il primo luglio 2014 - quando proclama il Califfato in una moschea di Mosul - Abu Bakr Al Baghdadi lo spiega esplicitamente «La prossima mossa annuncia quel giorno l'autoproclamato Califfo - sarà la conquista di Roma». La conquista di Roma, ovvero la distruzione dell'identità cristiana ed europea, passa obbligatoriamente dalle chiese.

Dopo averci spinti a chiuderci in casa e a muoverci tremanti nelle nostre città, dopo averci intimorito fino renderci incapaci di chiamare il nostro nemico con il suo nome il Califfo punta ad allontanarci dai simboli della fede trasformandoli in luoghi del terrore. I suoi sgherri sono già al lavoro. E lo sgozzamento di padre Jacques Hamel non è neppure il primo colpo.

Il 19 aprile del 2015 l'Isis c'aveva provato a Villejuif, sempre in Francia. Lì il 25enne Sid Ahmed Ghlam, un suo militante algerino, sognava di falciare a colpi di kalashnikov i fedeli in uscita da due chiese cattoliche. Non ci riuscì soltanto perché due colpi partiti accidentalmente gli trapassarono una coscia. Ma il piano c'è ed è ben chiaro.

Non appena le chiese saranno vuote, non appena la maggior parte dei fedeli avranno rinunciato a frequentarle e a dirsi cristiani la conquista di Roma potrà dirsi compiuta.

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