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Padoan ha dimezzato la "rivoluzione fiscale" del governo Renzi

Cgia: favorite solo le aziende medie e grandi. Il rinvio dell'Iri costa alle piccole 1,2 miliardi

Padoan ha dimezzato la "rivoluzione fiscale" del governo Renzi

Roma - Non è un paese per piccoli imprenditori. O meglio, l'Italia è la patria di aziende mini e micro, spesso ipercompetitive, ma il sistema fiscale continua a non favorirle. Quel poco di riduzione del carico tributario deciso quest'anno, ha favorito quasi esclusivamente le medie e grandi imprese del settore energetico e minerario. Che non sono esattamente Pmi.

Per dimostrarlo 'Ufficio studi della Cgia di Mestre ha messo insieme il taglio dell'Ires (Imposta sui redditi delle società di capitali), che consente alle società di risparmiare 3,9 miliardi di euro di tasse all'anno, e lo slittamento dell'introduzione dell'Iri (Imposta sul reddito imprenditoriale) che, per contro, sottrarrà alle Pmi risparmi attesi per 1,2 miliardi di euro di tasse all'anno.

Insomma, protesta il centro studi degli artigiani di Mestre, la riduzione fiscale per le imprese varata dal governo di Matteo Renzi nel 2016 «è andata in porto solo in piccola parte». La platea interessata dal taglio dell'Ires è pari al 13% delle aziende italiane.

L'intenzione del governo era accompagnare la riduzione dell'Ires al 24% (meno 3,5%) con l'introduzione di un aliquota Iri identica. Questa ultima parte, che riguarda le piccole imprese, con la legge di bilancio ora al Senato è slittata all'anno fiscale 2018 per mancanza di copertura.

Al beneficio per le imprese medie e grandi, va comunque sottratto il ridimensionamento dell'Ace, l'aiuto alla crescita, sforbiciato di 1,7 miliardi. Il risparmio medio per le aziende sarà tra 34 e 39 mila e 300 euro, concentrate sui settori dell'estrazione minerarie, fornitura di energia elettrica e gas.

Unica misura pro piccole imprese, sottolinea la Cgia, è l'addio agli studi di settore previsto dalla ultima manovra correttiva.

Per il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo «ancora una volta si è prestata attenzione solo alle istanze sollevate dalle imprese di maggiore dimensione, mentre alla stragrande maggioranza delle attività che non pagano l'Ires non è stato riservato alcun vantaggio fiscale». La fine degli studi di settore «per molti lavoratori sarà la fine di un incubo, anche se sarà necessario monitorare il periodo di transizione di questi nuovi strumenti.

I nuovi indicatori di affidabilità fiscale che sostituiranno gli studi di settore, infatti, dovranno garantire una riduzione delle tasse e una maggiore semplificazione nei rapporti con il fisco. Altrimenti - conclude Zabeo - questa novità servirà a poco». Fondamentale ridurre anche il numero degli adempimenti fiscali, aggiunge il segretario della Cgia Renato Mason - visto che «continua ad aumentare e costituisce un grosso problema per moltissime attività.

Non dobbiamo dimenticare che i più penalizzati da questa situazione, così come avviene per le tasse, sono le piccole e piccolissime imprese che non dispongono di una struttura amministrativa in grado di farsi carico autonomamente di tutte queste incombenze».

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