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"Non dimenticatevi di noi, vittime del Califfo"

Un padre invalido fatto a pezzi, una figlia rapita: "E se ci catturano siamo morte"

"Non dimenticatevi di noi, vittime del Califfo"

Un padre invalido fatto a pezzi perché cristiano. Una bimba strappata dalle braccia della madre dagli sgherri delle bandiere nere e portata via per sempre. Un'intera famiglia convertita a forza all'islam, che poi è riuscita a fuggire. I superstiti di queste drammatiche storie di persecuzione dei cristiani in Iraq sperano solo di andarsene e lasciarsi l'orrore alle spalle. Perché non dobbiamo aiutarli, in via prioritaria, accogliendoli in Italia?

«A mio padre hanno chiesto due volte di convertirsi all'islam e lui si è rifiutato. Siamo cristiani da sempre. Allora gli hanno tagliato il naso e la lingua» ci aveva raccontato Almas Elias Polos, una ragazzona vestita di nero scappata da Qarakosh, la città occupata lo scorso anno dal Califfato nel nord dell'Iraq. Davanti ad una statuina della madonna di Lourdes, nell'ex seminario di Bagdad, che ospitava i cristiani in fuga dallo Stato islamico, ha descritto la persecuzione. «Poi hanno cominciato a spezzargli le ossa delle braccia e delle gambe - racconta Almas -. È stato lasciato in vita per un giorno ad agonizzare con indicibili dolori. Alla fine lo hanno ammazzato scaricandogli addosso sette proiettili».

Si chiamava Elias e aveva 52 anni. Il martirio è avvenuto fra il 6 e l'8 agosto dello scorso anno, quando le truppe jihadiste sono dilagate nella piana di Ninive. La famiglia di Elias voleva emigrare a tutti i costi. Senza alcuna possibilità di ottenere un visto o un salvacondotto umanitario chiedeva aiuto a noi giornalisti per raggiungere l'Europa.

Per mesi i nostri fratelli in fuga hanno vissuto come bestie nel centro commerciale in costruzione di Ainkawa ad Erbil, capoluogo del Kurdistan, dove gli «alloggi» erano dei loculi.

Nel loculo A 203, quattro metri per quattro, sopravviveva la famiglia di Cristina Khader Ebada, una bimba di tre anni. Il padre, cieco, si faceva il segno della croce come benvenuto. La madre Aida era disperata: «Sono arrivati urlando Allah o Akbar e che i cristiani devono andarsene. Prima siamo stati derubati e poi un uomo vestito di nero, lo sguardo da diavolo ed i capelli bianchi si è preso la mia bambina, senza spiegazioni. Non l'ho più vista e non so dove sia». Per la famiglia di Cristina si sono mobilitati i francescani d'Assisi, ma nei loculi del centro commerciale vivevano 1650 cristiani, che potremmo accogliere.

«Devi diventare musulmano. Se rifiuti la conversione ti ammazziamo e violentiamo tua moglie. La figlia la diamo in sposa ad un mujahed» era l'ultimatum lanciato dal capobanda del Califfato ad Adel Karim Issa, un cristiano che porta il nome arabo di Gesù. L'odissea della famiglia irachena colpevole solo di credere in Cristo è durata oltre un mese. Della conversione forzata resta un documento con la bandiera nera: l'editto del giudice del Califfo che la certifica e cambia i nomi dei figli da cristiani a musulmani.

Alla fine sono riusciti tutti a fuggire da Mosul nel Kurdistan, dove sono rifugiati 120mila cristiani. Nonostante la libertà hanno paura: «Vogliamo andarcene in Occidente per evitare la vendetta del Califfato.

Ce l'hanno detto chiaramente: se fossimo tornati alla nostra fede ci avrebbero scovato e ucciso in nome dell'Islam».

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