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Pagare l'Irpef con un Picasso? Occhio ai furbi

La proposta di Franceschini può far crescere il nostro patrimonio artistico. Ma attenti a croste e falsi

Pagare l'Irpef con un Picasso? Occhio ai furbi

Finalmente! Ho sempre pensato che Dario Franceschini fosse un buon ministro dei Beni culturali. Egli occupa il mio posto, e lo fa non come un improvvisato spaesato (come molti ministri furono), né come un tecnico (che non è). È un uomo sensibile, appassionato, di famiglia colta, curioso di letteratura e fine scrittore; è convinto che l'arte sia il bene più alto di qualunque civiltà e la inevitabile salvezza dell'Italia. Fin dal primo giorno ha detto che il suo è il primo ministero economico della nazione; e ha dato prova di credere a quello che ha detto, favorendo il mecenatismo privato, le detrazioni fiscali per i donatori e, ancora in fieri, la modernizzazione dei musei. Io gli ho suggerito uno dei nodi cruciali della sua riforma, di cui vado orgoglioso: riunificare Soprintendenze ai beni architettonici e Soprintendenze ai beni artistici in una Soprintendenza ai monumenti.

Ora, alla sua riforma aggiunge la possibilità di pagare le tasse con donazioni d'arte. Qualcuno potrebbe pensare a una furberia. Ma l'unico modo per contrastare i furbi è una competenza. E, siccome chi paga le tasse si fa complice di azioni criminali contro la bellezza, è evidente che io non vorrei mettere un euro per pagare parchi eolici, impianti fotovoltaici, alte velocità improbabili, rotatorie che sfigurano i tradizionali percorsi viari, edifici pubblici di insolente bruttezza come il palazzo di giustizia di Firenze, progetti avventati come il Mose, opere pubbliche incompiute; e la quantità di orrori pagati con i contributi fiscali. Tutta la spesa pubblica è abnorme, come lo sono gli stipendi di politici e burocrati, assolutamente sproporzionati al loro (de)merito. E pare invece bello e nobile che le donazioni di opere d'arte accrescano il patrimonio artistico italiano arricchendolo di opere notevoli, che il collezionismo degli ultimi cinquant'anni, a partire dal boom economico, ha individuato in un percorso rovesciato rispetto alla prima metà del secolo.

Sono state infinitamente di più le opere importate da Gran Bretagna e Stati Uniti di quelle esportate per nutrire collezioni con capolavori apparsi sul mercato internazionale. Non so fino a che punto Franceschini ne sia consapevole, ma la misura è data da un'acquisizione memorabile di un collezionista romano. Un trittico di Francis Bacon acquistato negli anni Settanta-Ottanta per qualche milione di lire è stato venduto all'asta a Londra per centoquaranta milioni di sterline. Un acquisto avveduto, a indicare il valore patrimoniale di alcune collezioni. E, per l'arte antica, basterà ricordarne quattro, divenute patrimonio pubblico: il Museo Lia di La Spezia, la Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo, la Fondazione Terruzzi di Bordighera, la Collezione Egidio Martini di Venezia ora a Ca' Rezzonico. Patrimoni inestimabili e meravigliosi lasciti come in passato furono il Museo Poldi Pezzoli e il Museo Bagatti Valsecchi. Ora, singoli quadri o collezioni costituiscono un arricchimento che è esattamente l'opposto del vandalismo distruttivo delle opere pubbliche. Garantirsi le tasse, nella percentuale certamente limitata, attraverso donazioni di opere d'arte è un'intuizione felice che, in passato, fu applicata alla grande Collezione Contini Bonacossi che ha potenziato i musei fiorentini.

L'unico rischio potrebbe essere in una valutazione sbagliata. Ed è per questo che il ministro deve dotarsi di una commissione di esperti, liberi e competenti (non come quelli che hanno indotto il ministro Bondi all'acquisto di uno pseudo Michelangelo o come quelli che hanno giudicato intrasportabili i Bronzi di Riace!), che sappiano apprezzare anche il valore di ciò che è meno conosciuto ma non meno prezioso; o anche l'interesse generale di una collezione nella sua unità. Penso in questo caso (recentemente esposta agli Uffizi) alla collezione del grande direttore d'orchestra Molinari Pradelli. Nell'archeologia, un esempio di grande rilievo è il Museo Jatta di Ruvo, in diversi tempi assicurato allo Stato. Ma, tra le meraviglie, penso, e lo dico a Franceschini ferrarese come me, al meraviglioso trittico di Antonio da Crevalcore acquistato dal finanziere Roberto Memmo, che diede vita in passato anche all'importante fondazione in Palazzo Ruspoli a Roma.

Dunque, porte aperte ai collezionisti, con un suggerimento per il ministro: non farsi infinocchiare dall'arte contemporanea e dalle sue quotazioni sopravvalutate, come dimostrano anche i soldi buttati per le acquisizioni di opere per l'allora costituendo Maxxi. Mi limiterei alle opere che hanno più di cinquant'anni, tenendo ferma la data di morte dell'ultimo e più grande pittore italiano del Novecento: Giorgio Morandi. Il 1964. Fino a quel momento i valori possono essere certificati. Ma, soprattutto, rispetto al rigonfiamento dei valori delle opere degli ultimi decenni, l'arte antica, salvo qualche eccezione, ha patito una svalutazione. Per cui è quasi sempre un affare acquistare un'opera d'arte antica. Dall'archeologia, per ciò che non è frutto di rapina e di scavi clandestini, fino alla fine dell'Ottocento, le opere d'arte hanno quotazioni piuttosto modeste e, in tempi recenti, sempre discendenti. Questo consente di acquistare capolavori a cifre contenute. Se si pensa che io feci acquistare una pur piccola tavola di Antonello dipinta sui due lati, apparsa a un'asta a Sotheby's a Londra, per trecentomila sterline dalla Regione Sicilia. Un capolavoro dell'umanità a un prezzo impensabile.

Non solo quindi la proposta di Franceschini è condivisibile, ma mai come ora i tempi furono favorevoli. E potenziare i bei palazzi italiani di opere d'arte è certamente meglio che costruire orripilanti edifici che gridano vendetta, lasciando spendere i soldi delle tasse a incompetenti incapaci e ladri.

Avanti, dunque, Franceschini, senza lasciarsi intimidire e senza lasciarsi ingannare.

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